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La vergogna di essere ricchi (?)

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Credit foto l'indiscreto.it

 Di Rosamaria Fumarola

Il tema del rapporto dell’uomo con il potere e con la ricchezza che ne può derivare è da sempre oggetto di indagine da parte degli intellettuali, laici e non. Luciano di Samosata nel secondo secolo d.C. sentì l’obbligo di scrivere un’ “Apologia” nella quale rispondeva a quanti lo accusavano di incoerenza ed opportunismo per aver accettato un ben remunerato incarico pubblico in Egitto. E come non ricordare l’insanabile distanza che su questa tematica vide contrapposti due giganti del pensiero occidentale come Sartre e Camus, in un’epoca nella quale il confronto col comunismo sovietico (che aveva interpretato il marxismo come condanna della proprietà privata) e la stessa ideologia marxista erano inevitabili e sempre all’ordine del giorno? La mediazione culturale nei confronti degli istinti più profondi dell’uomo è da sempre un caposaldo dello stesso cristianesimo e sarà ad esempio questa mediazione a fare in modo che il banchiere padovano Enrico Scrovegni, nel 1300 ordini la costruzione di una cappella dedicata alla Beata Vergine, in suffragio dell’anima sua e di suo padre (l’usuraio che Dante collocò all’Inferno) affidandone la decorazione murale a Giotto. 

Se però il marxismo, per la realizzazione del socialismo, faceva appello all’impegno ed alla responsabilità dell’uomo, il cristianesimo, per concretizzare una maggiore giustizia sociale, si appellava alla paura dei fedeli di finire dritti all’inferno. Lo stesso Papa Francesco, qualche anno fa, ha parlato della ricchezza come dello sterco del diavolo (l’espressione è del vescovo e teologo greco San Basilio Magno, vissuto nel quarto secolo) poiché le persone e le relazioni valgono più delle cose e contano di più delle cose possedute. 

Converrà precisare per maggiore chiarezza, che le religioni svolgono da sempre, oltreché il già citato ruolo di mediazione culturale, anche uno normativo della condotta umana, necessario come tutte le leggi consuetudinarie e non, ad assicurare una pacifica convivenza tra i consociati. Il rapporto che poi costoro sono in grado di instaurare con le norme lo si può agevolmente apprendere dai libri di storia.  Aprendone una pagina a caso si leggerà di guerre che appunto hanno afflitto ed affliggono gli uomini di ogni tempo, probabilmente in ragione del fatto che chi le provoca il più delle volte ha il potere di imporre alle comunità delle leggi, alle quali crede tuttavia di aver diritto di sottrarsi. 

Il concetto è efficacemente sintetizzato nell’arcinoto detto “predicare bene e razzolare male”. 

Il marxismo, pur non essendo una religione, ha comunque creato, per l’impatto rivoluzionario avuto sulle coscienze sin dall’origine, delle aspettative religiose nei confronti del rispetto dei suoi principi ed i maestri che lo hanno predicato hanno richiesto che, per la causa socialista tutti rinunciassero all’accumulo di quanto eccedesse il soddisfacimento dei bisogni quotidiani. Pensatori come Sartre appunto, non hanno mai messo in dubbio la validità di questo assunto, indirizzando il proprio impegno in maniera radicale in questa direzione. Sarà anche questo cieco rigore a fargli accettare l’Unione Sovietica acriticamente quando inizieranno a trapelare le notizie della gestione criminale e tirannica del potere da parte di Stalin. 

Albert Camus troverà la morte sulla sua lussuosa auto mentre, con l’editore Gallimard e con la di lui moglie, cercava di far ritorno a Parigi. Il premio Nobel fu sempre critico verso le realizzazioni del marxismo esistenti al suo tempo: aderì al partito comunista, ma se ne allontanò poi definitivamente quando quel partito era diventato la chiusa fortezza di Sarte e degli esistenzialisti francesi. Negli scritti di quest’ultimo il pensiero è costruito su una struttura solida, su un impianto degno dei più grandi filosofi di tutti i tempi eppure, il suo cieco aderire alla causa comunista lo rese  un “prodotto” destinato esclusivamente ad una funzione e che in quanto tale era destinato a perdere efficacia in un tempo relativamente breve. Sartre ci parla infatti dell’impegno in una battaglia oltre la quale sembra che il suo pensiero non esista. 

In questo essere funzione la sua filosofia è già serva di un padrone e non di quello comunista, ma di quello capitalista, che di lui si è servito come di ogni altra cosa. Camus pone invece al centro del suo interesse l’uomo e non il suo essere funzionale ad una causa. Non nega i bisogni e gli istinti insopprimibili, perché comprende prima degli altri che non è su quel terreno che può consumarsi lo scontro. È per questo che il suo pensiero vola parallelo al tempo è rimasto vivo e ci sopravviverà. Ed è sempre per questo che invece, di un certo esistenzialismo ci ricordiamo quando in “Toto` a colori” il comico sbeffeggia i colti ed originali intellettuali con i quali condivide la dimora caprese, facendoli apparire per quello che già sono: una  moda, vuota ed estetizzante come tutte le mode, che non possono ambire ad essere altro da sé e cioè semplici prodotti a scadenza di una catena di montaggio. 

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano