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Cronaca

Nada Cella, 10227 giorni in attesa di Giustizia

Ventotto anni sono troppi per avere giustizia e troppo pochi per rinunciare.

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Credit foto https://news.robadadonne.it/riaperto-caso-nada-cella-trovata-scatola-misteriosa/

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Sono passati esattamente ventotto anni da quel 6 maggio. Intorno alle ore 9 del 6 maggio 1996, in via Marsala 14 a Chiavari, viene barbaramente uccisa Nada Cella.

“Ninetta mia crepare di maggio ci vuole tanto troppo coraggio”, cantava così De André.

Nada è morta giovane in una giornata di primavera. Una brutta morte la sua.

Colpita con violenza. Sia a mani nude che con oggetti contundenti.

Quella mattina Nada Cella arriva prima nello studio del commercialista Marco Soracco. Dove lavorava da anni. L’assassin* arriva intorno alle 8:55. Orario in cui normalmente Nada era già in ufficio.

Credit foto https://ilgiornalepopolare.it/massacrata-per-gelosia-la-considerava-una-rivale-in-amore-un-pericolo-per-la-sua-relazione/

Nada Cella ha acceso il computer, ha effettuato una stampa e sta consultando dei fascicoli. Il suo normale lavoro da segretaria.

Nada viene aggredita mentre è seduta alla sua scrivania. Secondo i medici legali viene colpita prima con calci e pugni o un “qualche oggetto lesivo”, poi da un corpo contundente dotato di spigolo. A questo punto Nada cade a terra e viene colpita alla testa da un oggetto piatto o sbattuta contro una superficie piana.

Nada si trovava stretta tra la parete e la scrivania, con l’assassin* a chiudere la via di fuga. E’ Nada ad aprire la porta all’assassin*? In caso affermativo perché il raptus scatta in prossimità della scrivania? O forse non è Nada ad aprire la porta.

Credit foto https://ilgiornalepopolare.it/massacrata-per-gelosia-la-considerava-una-rivale-in-amore-un-pericolo-per-la-sua-relazione/

I colpi sono numerosi e sferrati con oggetti diversi. Il viso di Nada è sfigurato. Come a voler distruggere lo specchio in cui l’assassin* era costrett* a specchiarsi.

Viene spontaneo pensare ad un raptus improvviso non premeditato. Erano quasi le 9, lo studio era aperto. Stava per arrivare la praticante e Soracco. Le scale del condominio erano animate.

Non è la situazione migliore per pianificare un omicidio. Eppure potrebbe essere un raptus pianificato.

L’offender cercava, forse, solo l’occasione di sfogare la propria rabbia contro Nada. Forse conosceva le abitudini dello studio. Gli orari regolati dalla solita routine. Routine che potrebbe aver osservato per giorni rimanendo nei pressi dello stabile di via Marsala 14.

Forse sapeva di poter contare su una specie di obbligata complicità?

Molte le coincidenze che hanno reso ancora più complesso il caso di Nada Cella.

Il sabato precedente, il 4 maggio, Nada si reca presso lo studio Soracco. Strano, perché lo studio è chiuso. Usa il computer e poi va via. Nada, nell’ultimo periodo, è preoccupata, agitata. Vuol cambiare lavoro. Ha scoperto qualcosa?

La mattina del delitto l’offender riesce a sfruttare i pochi minuti in cui Nada è sola prima dell’arrivo di altre persone? Agisce quando in studio sono generalmente presenti Nada e Soracco. La praticante arriva invece verso le 9:30. L’offender ha quindi la fortuna di trovare Nada da sola?

Non secondo il Gup del Tribunale di Genova. Che ha disposto il non luogo a procedere per Anna Lucia Cecere, Marco Soracco e sua madre ma che ha anche scritto che è altamente probabile la presenza del Soracco durante l’aggressione o nella parte finale della stessa.

Questo lo sostiene il Gup e viene quindi spontanea una domanda, perché non ha fatto il nome dell’assassin*? Questo sarebbe uno dei punti da chiarire in un eventuale dibattimento.

L’omicidio di Nada non è probabilmente collegato a sue eventuali scoperte. Resta un’inquietante cronologia. Il sabato si reca in ufficio e il lunedì viene uccisa.

L’aver, forse, scoperto qualcosa potrebbe non essere il movente ma potrebbe spiegare certi silenzi?

Esiste anche una testimone anonima che ha fornito molti dettagli.

Per maturare una simile rabbia è logico pensare che l’assassin* avesse una qualche frequentazione con Nada. Frequentazione che ha lasciato delle tracce.

Questa l’analisi dei fatti.

L’ultima parola, però, deve essere lasciata ai sentimenti che una simile tragedia scatena. Riassunti nelle parole di Antonella Delfino Pesce che accompagna e sostiene la famiglia di Nada Cella nella ricerca della verità.

“Il terrazzo era frequentato quella sera, la calura estiva era ancora lontana e una giornata molle d’ozio si era trasformata in una inaspettata rimpatriata. La notte stellata era bellissima, fumavamo seduti per terra chiacchierando del nulla come solo a 25 anni si può fare. Cos’è che si disse quella sera? Un sacco di baggianate, qualcosa tipo che siamo solo di passaggio e che il peggio che può accaderti è sempre un po’ meno di ciò che riesci a sopportare. 

Bugiardi.

Eravamo bugiardi senza sapere di esserlo.

Avremmo appreso solo dopo che ci sono dolori che non si potranno mai sopportare e sfortune che non sarà mai possibile riscattare. 

Ventotto anni fa, un lunedì come oggi, Nada veniva barbaramente uccisa nello studio in cui lavorava.  

Da 10227 giorni la famiglia Cella aspetta di sapere la verità riguardo quella mattina. 

In tutti questi anni lo Stato si è dimostrato presente al pari un cantiere in disuso: è stato lì, nello stesso posto di sempre, ma i ponteggi sono stati inghiottiti da arbusti ed erbacce, le grondaie sono state intasate dalle foglie, gli stucchi e le inferriate hanno iniziato a sottomettersi al naturale processo di decomposizione e così la giustizia, ricoperta da una fitta vegetazione ostile, è diventata il simulacro di tutto ciò che ci era stato insegnato a rispettare. 

Non possiamo più confidare in essa. Non possiamo più credere nella possibilità di arrivare alla verità né tantomeno sperare nella mano che si mette al lavoro per raddrizzare il torto. 

E così Nada rischia di diventare il simbolo di uno Stato che, non volendosi assumere le responsabilità dei propri doveri, si ritrova incapace di garantire gli altrui diritti. 

Giustizia non è emettere una sentenza o decretare un colpevole, piuttosto è arrivare ad un processo. 

[Come 28 anni fa Silvia lascerà un mazzo di fiori sul portone di Via Marsala 14. Chissà se anche stavolta qualcuno li butterà via con stizza] “.

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