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21 Dicembre 2025

Il Colonnello Cagnazzo, la casa sull’albero e il bonsai

Il caso Garlasco e la vicenda del Colonnello Fabio Cagnazzo evidenziano la crisi della giustizia italiana tra processi mediatici e violazione della presunzione di innocenza.

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Di Pierdomenico Corte Ruggiero

La recente dichiarazione della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha definito “una vergogna” la gestione giudiziaria del caso Garlasco, apre una riflessione profonda che va ben oltre la cronaca nera. Il problema non è solo stabilire se la “vergogna” risieda nella condanna di Alberto Stasi o nelle nuove indagini, ma comprendere come il nostro sistema stia perdendo i suoi pilastri fondamentali.

La Crisi della Certezza del Diritto

Il caso Garlasco è l’emblema di una giustizia percepita come opinabile. Da un lato, c’è chi continua a “processare” Alberto Stasi nonostante una sentenza definitiva e una pena quasi scontata; dall’altro, chi lo professa innocente ignorando il giudicato. Nel mezzo, figure come Andrea Sempio, condannate dall’opinione pubblica prima ancora di un rinvio a giudizio.

In Italia si invoca spesso la certezza della pena, ma ci si dimentica della certezza del diritto. La presunzione di non colpevolezza sta cedendo sotto i colpi di un processo mediatico sempre più aggressivo, che sovverte evidenze scientifiche e procedurali in nome dell’audience.

Il Caso del Colonnello Fabio Cagnazzo

Garlasco non è un caso isolato. Un esempio emblematico e recente è quello del Colonnello dei Carabinieri Fabio Cagnazzo, accusato di un coinvolgimento nell’omicidio del “sindaco pescatore” Angelo Vassallo.

Cagnazzo è un ufficiale con decenni di brillante servizio, protagonista di centinaia di arresti che hanno smantellato clan della camorra. Eppure, nonostante accuse basate su pentiti ritenuti “fragili” dalla Suprema Corte per ben due volte https://www.quotidianodelsud.it/laltravoce-dellitalia/cronache/giudiziaria/2025/05/10/vassallo-unindagine-flop-tra-buchi-e-contraddizioni https://laltravoce.com/italia/2025/12/19/caso-vassallo-cassazione-cagnazzo-non-doveva-andare-in-cella/ , la presunzione di innocenza nei suoi confronti sembra essere evaporata.

Il Paradosso del Silenzio

Mentre l’opinione pubblica si divide ferocemente sull’innocenza di Stasi o Bossetti (entrambi condannati in via definitiva), il caso Cagnazzo è avvolto da un silenzio inquietante. Ad eccezione del forte sostegno di familiari, amici ed ex colleghi.

Alcuni familiari del sindaco Vassallo, invece, hanno prima espresso incredulità per il fatto che il colonnello Cagnazzo non sia stato destituito e poi hanno censurato la manifestazione a suo sostegno.

Cagnazzo non può e non deve essere destituito perché non è stato condannato. Addirittura nemmeno processato. In Tribunale almeno. La posizione della Procura è rispettabile ma non è una sentenza.

Per la manifestazione a suo sostegno bastano due numeri per commentare, 17 e 21. No no, non vanno cercati nella smorfia ma nella Costituzione della nostra Repubblica.

  • Confondere un avviso di garanzia o un rinvio a giudizio con una condanna è un errore logico e giuridico pericoloso.

Tanto più dopo ben due sentenze della Cassazione che sollevano forti dubbi anche per bocca del Procuratore Generale presso la Cassazione.

Rispetto alla recentissima sentenza sul ricorso del colonnello Cagnazzo, accolto a differenza di quello degli altri imputati, è stata fatta confusione sul ruolo della Cassazione.

La Suprema Corte non entra nel merito ovviamente. Deve, però, non solo verificare la corretta applicazione della legge ma anche la coerenza e la validità dei ragionamenti dei giudici di merito. Il percorso argomentativo. La corretta valutazione di prove ed indizi.

Nel caso Cagnazzo, secondo la Cassazione, i giudici di merito hanno preso per buone le dichiarazioni dei pentiti senza vagliare le diverse criticità emerse.

In poche parole la Cassazione sembra voler dire: occhio che state costruendo una enorme casa sull’albero su un bonsai piccolo e fragile.

Se sono indizi troppo deboli per giustificare una misura cautelare come potranno diventare prove solide tali di giustificare lunghe pene detentive?

Il ranocchio che diventa principe dopo il bacio della principessa è materia da favole non da codice di procedura penale.

Credit foto https://laltravoce.com/italia/2025/12/19/caso-vassallo-cassazione-cagnazzo-non-doveva-andare-in-cella/

Il monito della Cassazione non può essere ignorato in un procedimento penale dove manca movente, arma del delitto ed esecutore materiale. Praticamente tutto. Dove esiste un contrastato insanabile nella ricostruzione accusatoria: viene usato un killer che non lascia traccia alcuna ma poi per il sopralluogo che precede l’omicidio vengono impiegati personaggi non affidabili. Che senso ha?

Come non ha senso ipotizzare il colonnello Cagnazzo chino davanti a decine di testimoni mentre altera la scena del crimine. Dobbiamo credere all’ipotesi di un Fabio Cagnazzo prima disonesto e poi anche “fesso”? Non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo, prendendo in prestito le parole di Pio VII.

Purtroppo, però, elementi evidentemente fragili vengono amplificati nel “tribunale mediatico” che cercherà di gabellare per condanna un eventuale rinvio a giudizio del colonnello Cagnazzo. Per questo motivo è necessaria la corretta informazione.

Ci sarà sempre un Dreyfus accusato ingiustamente e quando accade dobbiamo avere il coraggio di scrivere un “J’Accuse…!”.

Il “processo mediatico” genera mostri e atteggiamenti schizofrenici. Giudizi emessi di “pancia”. Con i fatti piegati alle personali e spesso fallaci convinzioni ed ipotesi.

Piero Calamandrei scriveva: “La giustizia è una cosa seria”. Oggi, invece, assistiamo a teatrini televisivi e pseudo-esperti che infestano i social; a comizi davanti ai tribunali per chiedere condanne a gran voce; mancanza di rispetto per la dignità di tutte le persone coinvolte.

    Nessuno, o quasi, penserebbe mai di manifestare davanti a una sala operatoria per suggerire al chirurgo quale bisturi usare o per pretendere di interpretare i risultati di un esame clinico, perché la salute è considerata un bene sacro e tecnico. Perché non riserviamo lo stesso rispetto alla Giustizia?

    Non possiamo permetterci di condannare prima dei processi e sostenere l’innocenza dopo le sentenze definitive. Per correggere gli errori giudiziari esiste la revisione del processo, non il tribunale dei social.

    Finché la giustizia resterà ostaggio del sensazionalismo, a perdere non saranno solo i singoli indagati, ma l’intera tenuta democratica del Paese.

    Soprattutto se continueremo a non saper distinguere una quercia da un bonsai.

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