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Società

Il presepe disperso…

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di MARIO GIANFRATE

Natale! Tempo di acquisti e di generosità. Calcolata. Si scambiano doni e lucciole per lanterne, si proclamano sentimenti di amore e si fanno promesse da marinaio.

La bontà si vende in barattoli, sistemata nelle scansie dei negozianti, in mezzo a scatole di tonno sott’olio e di carne bovina, da aprirsi nelle ricorrenze e dispensare in condensati d’ipocrisia. Appunto!

Gesù Bambino non nasce più in una stalla, tra il bue e l’asinello a simboleggiare una scelta che non ammette compromessi, ma nel lussuoso attico del Cardinal Bertone e i pii zelanti che alzano barriere respingendo i migranti che, qualche volta, affondano nel mare di burrasca, hanno dimenticato che quel bambino, e la madre, e il padre, erano ebrei e fuggiaschi. E che San Pietro, venuto a Roma a farsi crocifiggere, era egli stesso un migrante. Clandestino, perseguitato dalle centurie di Nerone.

I disperati – gli immigrati e i poveri – si gettano in strada come spazzatura: in questo caso, senza neppure il tiepido fiato del bue e dell’asinello. Ma si ostentano presepi e crocifissi a rivendicare una identità che dovrebbe essere di solidarietà e di fratellanza, ma che si è trasformata in criminale barbarie.

Ricordo altri Natali più raccolti, più intimi, più veri. E il presepe fatto con carta da imballaggio tinteggiata coi colori di terra, il muschio e le “lestingi”, lentischio con rari mandarini appesi e la neve fatta di farina. E la gioia nel cuore anche se si avevano poche cose. Ma quelle cose avevano valore.

Nella piazza grande del paese si allestiva un alberello che illuminava il buio e riscaldava i cuori. Altro che l’overdose di luci dei nostri giorni.

Non faccio più il presepe da anni. Mi sono allontanato dalle religioni. Ma immagino un presepe profondamente cristiano con la famiglia di arabi – Maria, Giuseppe e il figlioletto -, con i nuovi pastori senza gregge e senza lavoro, il falegname che pianta chiodi per fare sedie invendute perché soppiantate da Amazon, il calzolaio oramai estinto, il fabbro avvelenato dai fumi dell’Ilva e con i padroni di sempre, ringalluzziti da un potere decisamente schierato al loro fianco, autorizzati a licenziare per il piacere di una Salomè; gli “Epuloni” che si arricchiscono a dismisura e i poveri, sempre più poveri considerati più che altro un fastidio. Un senza tetto, che dorme all’addiaccio su una panchina in attesa di un alito di vento gelido che lo porti su di una stella, è poco decoroso, si scaccia via perché è una presenza incomoda. I potenti figli della borghesia e gli istigatori d’odio hanno dichiarato guerra, non alla povertà, ma ai poveri.

Che senso ha, allora, il presepe oggi? Per i più, solo un’abitudine, un rituale svuotato di ogni significato, un non senso. Perché nella società dell’immagine contano le forme; per i contenuti, ormai, non c’è più spazio. E l’umanità, che il presepe francescano esprimeva, è andata dispersa…