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Politica

“A te e famiglia”

Primo articolo dell’anno. Dedicato ai lettori, consideratela una intro (sì, il titolo è una citazione a Salmo, “cento punti a Grifondoro” a chi riconoscerà tutti i riferimenti).

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Patrick Desmet, Photo Montages, 1995. Credit foto Pinterest.

di Alessandro Andrea Argeri

“Che noia! I temi della politica sono sempre gli stessi…”, “voglio sentir parlare di cose belle”, “puoi scrivere un articolo con contenuti diversi dagli altri giornali?”. Quest’ultima domanda sono innanzitutto io a rivolgerla a me stesso, perché non ha senso scrivere la stessa roba trita e ritrita, ripetere sempre le solite litanie come al telegiornale, infatti non mi è mai accaduto, altrimenti tanto varrebbe smettere, consegnare il lavoro a un giradischi o a un qualsiasi estremista in grado solo di ripetere gli stessi slogan invecchiati di trent’anni, per giunta imparati a memoria da qualcun altro.

Una carrellata di esempi? Parlare di guerra ma non del boom in borsa per le industrie d’armi né dei tagli alla scuola pubblica nella stessa legge di bilancio in cui c’è l’aumento delle spese militari, “free Palestina”, “Russia di qua”, “Ucraina di là”, “abbasso l’impero del male americano!”; circa 3 milioni di precari in Italia secondo i dati Istat però “Orban cattivo, amico della Meloni!”; politica raccontata come fosse sitcom; trash talking; shitstorm; “i poveri mangiano meglio dei ricchi”; parte un colpo a Capodanno perché “la vittima si è sparata da sola”, anche se poi il deputato pistolero chiede comunque l’immunità parlamentare; il tasso di suicidi tra ragazzi è in aumento “a causa dei telefonini”, non per un sacco di altre ragioni; incolpare per l’escalation di violenza tra le strade la musica e gli sport da combattimento anziché le evidenti disparità sociali o le serie tv Rai in cui si idolatra la criminalità giovanile; scrivere l’articolo sul femminicidio, liquidare la tematica con un semplice “no alla violenza” senza cercare di comprendere quali meccanismi ci siano dietro un tale atto; lucrare sul dolore della vittime per un paio di like; giustificare la polizia nel momento in cui carica gli studenti invece di chi sfascia le vetrine dei negozianti; dire la mia su tutto con opinioni la cui vitalità vale quanto quella di un tweet, cioè circa venti minuti; difendere il padrone prescritto; rivendicare di essere controcorrente quando in realtà si è tremendamente conformisti; proporre un giornalismo senza una visione critica dei fenomeni: tutto questo da me non lo leggerete mai.

La realtà cambia incessantemente, non si può ridurre la verità a un solo punto di vista, pertanto per comunicare è necessario sia essere al passo con i tempi sia evolversi continuamente, non tanto per differenziarsi da chissà quale massa ma perché è importante rinnovarsi per evitare di scadere. Così è difficile, lo è sempre stato, però alla fine i numeri ripagano. In più si evita di finire come i tanti soliti (ig)noti, i quali durano appena una stagione: il tempo di cambiare il partito al governo, quando poi si lamentano di essere “intellettuali lasciati soli”. Sì, abbandonati come gli animali sul ciglio della strada. Il mio consiglio per il 2024 è di diffidare dei falsi predicatori, ce ne sono tanti in giro!

“Aiutaci a salvare il giornalismo italiano, chiama il numero in sovrimpressione.”

Dedicato a Donald De Lillo

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).