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Rivoluzionare per non cambiare

Nonostante una pandemia ancora in atto, il sistema sanitario italiano non sembra essere tra le priorità del Governo, né tantomeno in quelle del Recoverry Found.

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È uno dei controsensi di un Paese retto dalle contraddizioni: il Recovery Found propone sicuramente di rivoluzionare, paradossalmente però il piano di gestione sembra ideato apposta per non cambiare.

DI ALESSANDRO ANDREA ARGERI

L’emergenza sanitaria degli ultimi due anni causata dalla pandemia di Covid-19 non solo ha mostrato la disorganizzazione del sistema sanitario nazionale, ma ha anche portato ancor più alla luce i limiti della medicina nelle zone limitrofe ai grandi centri urbani. Del resto, come ogni periodo di crisi degno di essere chiamato tale, la pandemia ha semplicemente mostrato, o per meglio dire “accelerato”, le già note oltre che abissali insufficienze della sanità italiana, non a caso letteralmente collassata all’alba di ogni ondata pandemica per via dei continui tagli negli anni di fondi, i quali hanno determinato carenze di posti letto, reparti, personale sottodimensionato in ospedali depotenziati o addirittura chiusi.

A questi problemi si aggiunge inoltre la scarsità dei medici, il precariato, il numero chiuso nelle università di medicina, la carenza di borse di studio per le specializzazioni in un paese dove l’istruzione è un diritto gratuito a patto di poter pagare. Ne deriva quindi una paradossale sovrabbondanza dei medici di base, ma una carenza di specialisti. In sintesi: le scuole di medicina formano quasi esclusivamente medici di famiglia, i quali nonostante siano pochi rimangono comunque tagliati fuori dal sistema sanitario nazionale. Attualmente se ne registrano 15000.

Ancora, secondo una stima riportata su ilsole24ore, oltre un milione di italiani è priva di un medico di base, mentre il restante affolla le liste dei pochi dottori disponibili, destinati oltretutto per la maggior parte al pensionamento nel prossimo quinquennio. A primo impatto questi numeri potrebbero causare brividi, i quali salgono certamente non appena ci si accorge come lo studio è stato condotto solo in otto regioni, quindi i dati reali sull’intero territorio nazionale sono certamente superiori. Fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/medici-base-allarme-carenza-15-milioni-italiani-sono-senza-AE9gWwg

Per compensare le enormi carenze del sistema sanitario nazionale, ovviamente bocciato al banco di prova della pandemia, a poco è servito un aumento della spesa nel 2020 dal 6.5% al 7.5% per cecare di tappare i buchi all’ultimo momento. Tradotte in miliardi queste percentuali mostrano un esiguo aumento dai 119 stanziati nelle previsioni pre-covid ai 125 del primo anno pandemico, già ridotti tuttavia a 121 miliardi ad inizio 2021, quando paradossalmente l’intera penisola era classificata “zona rossa” da un Governo troppo preso a giocare con la carta quattro colori di “Uno”. Ovviamente un aumento dell’1% non è minimamente sufficiente per risollevare la sanità italiana. Sembra anzi un tentativo del Governo di salvare l’immagine difronte all’opinione pubblica, attraverso un gesto dal valore simbolico anziché un deciso tentativo di risolvere concretamente le problematiche di una Nazione ancora in piena crisi sanitaria, a circa due anni dell’inizio della pandemia. Fonte: https://temi.camera.it/leg18/temi/tl18_il_fabbisogno_sanitario.html

L’Italia nel 2019 ha investito il 6% del prodotto interno lordo (pil), mentre la Germania il 10%, la Francia il 9.5%, la Gran Bretagna l’8%. Da qui si evince come nonostante la grande crisi economica da cui è stato travolto il “vecchio continente” negli ultimi dieci anni, i grandi Paesi europei con i quali sogniamo di competere non hanno mai tagliato i fondi destinati alla sanità. Però in fondo la percentuale non sembra poi tanto bassa se pensiamo come nello stesso anno il Governo italiano, al tempo Conte I, aveva stanziato il 3.8% del pil per l’istruzione pubblica.

Eppure nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), formulato apposta per gestire le risorse provenienti dall’Europa, non sono previsti interventi specifici per colmare gli evidenti handicap della sanità, tagliata, depotenziata, privata sia dei mezzi tecnici sia del “capitale umano”, ma sulla quale al contrario dovrebbe reggersi uno Stato. In pratica: abbiamo chiuso a causa dell’impossibilità di gestire i contagi negli ospedali, tuttavia non abbiamo intenzione di “curare” il sistema sanitario nemmeno dopo la prova storica di tre lockdown.

Il PNRR prevede infatti l’intervento in sei punti: digitalizzazione, ambiente, inclusione, istruzione, trasporti, sanità, con quest’ultima fanalino di coda degli investimenti, i quali ammonterebbero a circa 18.5 miliardi in sette anni, nonostante le iniziali promesse del Ministro della Salute Roberto Speranza nell’ottobre 2020 di un impegno di ben 65 miliardi a fronte dei 750 dell’intero Recovery Found.

Ovviamente però i finanziamenti provenienti dall’Europa sarebbero sospesi qualora il piano di ripresa formulato dal Governo non dovesse convincere Bruxelles, intenzionato in quanto prestatore ad accertarsi della credibilità dei futuri debitori, impossibile da pretendere esclusivamente grazie alla presenza di Mario Draghi, ormai noto volto immagine del fallimento della politica.

Mentre nei summit eccezionali si parla di innovazione, prevenzione, sanità di prossimità per affrontare il post covid in virtù di un nuovo modello più efficiente, nel mondo reale, quello formato da medici, infermieri, assistenti, pazienti, i bei propositi decantati dalle amministrazioni sembrano solo parole al vento, di quelle a cui siamo stati abituati persino quando nel momento peggiore della repubblica per il Parlamento era più importante la propaganda delle riaperture in sicurezza.

Infatti in tutto questo ci sono gli operatori sanitari, i reduci di guerra vincitori di un premio Nobel, i quali hanno mostrato quale sia la vera resilienza, poiché capaci nel complesso di non piegarsi alle intemperie causate sia dalla pandemia sia dal nostro stesso Governo, come la ginestra celebrata da Leopardi.

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).