04 Novembre 2024
Un sopravvalutato caso Liguria
di Lavinia Orlando
Sembra abbastanza chiaro che la Regione Liguria si candidi ad essere ricordata come il peggiore degli incubi per la nascente alleanza di centrosinistra. È questo il principale esito della tornata elettorale di fine ottobre, resasi necessaria alla luce delle gravi vicende giudiziarie che hanno colpito l’ex governatore ligure Giovanni Toti.
Ed occorre partire proprio da quest’ultimo scandalo per valutare il risultato delle elezioni regionali appena tenutesi: nonostante quanto venuto in luce all’esito dei procedimenti a carico di Toti, con le accuse di corruzione, il patteggiamento ed il disvelamento di un sistema obiettivamente marcio, il centrodestra si è comunque riconfermato, sia pure di misura, al timone della Regione.
Delle due l’una: o i liguri sono alquanto masochisti – ed il sistema che si è iniziato a smantellare è ancora ben saldo – o l’alternativa proposta da Pd ed alleati non risultava sufficientemente valida.
Sarebbe un errore considerare le tornate elettorali locali e regionali come cartina tornasole della situazione politica nazionale, ma non si può negare che le stesse possano comunque fornire importanti spunti di riflessione di cui tenere conto a futura memoria.
È chiaro, ad esempio, che la totale debacle del Movimento Cinque Stelle non possa essere presa sottogamba. Che il pessimo risultato (4,5%) sia frutto dello sfinente testa a testa tra Conte e Grillo, proprio nella terra di origine del fondatore del Movimento, è circostanza abbastanza plausibile, ma non sufficiente a fornire una completa spiegazione, che, come in tutte le elezioni con forte impatto locale, è inevitabilmente da ricercarsi in ambito territoriale.
Del resto, volendo proseguire lungo questo filone, lo stesso dovrebbe dirsi del risultato di Fratelli d’Italia (14,9%), fortemente in ribasso rispetto alle elezioni politiche ed europee ed alle indicazioni dei sondaggi. Tale circostanza, così come per il Movimento Cinque Stelle, potrebbe, se astrattamente considerata, lasciare intendere una forte crisi del partito della Premier, ma tutti sanno che trattasi di peculiarità della Regione Liguria che non ha, al momento, alcuna ragione di esistere altrove e, in generale, a livello nazionale.
Analogamente, gli esponenti di Italia Viva dovrebbero usare con moderazione l’argomento per cui l’esclusione del partito di Renzi dall’alleanza di centrosinistra porterebbe a certa debacle dell’alleanza medesima. L’idea che il risultato numerico di una coalizione sia la somma algebrica dei voti di ciascuna componente, in politica, non ha ragione di esistere, perché non tiene conto di coloro che troverebbero repellente l’apparentamento con i renziani e viceversa. Ed è un gran peccato non avere la possibilità – per ovvie ragioni – di fornire prova di quanto appena affermato.
Resta l’inspiegabile fatto che il Partito Democratico continui a corteggiare un Matteo Renzi che, dal basso del suo scarso 2%, ha ripreso vigore, perlomeno mediatico, proprio grazie al partito di cui è stato Segretario e che ha successivamente abbandonato, a discapito di un’alleanza, quella col Movimento Cinque Stelle, che pare oggettivamente incompatibile, per assenza di tematiche comuni ed a tacere di tutti gli sgarbi avvenuti nel recente passato, con Italia Viva.
Il dato che, invece, dovrebbe indurre a profonda riflessione è la bassa percentuale di elettori recatasi al voto, solo il 46%, in netto calo rispetto alle precedenti consultazioni e, in generale, in continuità con la sempre più forte disaffezione dei cittadini nei confronti della politica. Ed è davvero vergognoso che, invece che continuare a disquisire di astratte alleanze, non ci si preoccupi seriamente di questa enorme problematica.
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