Attualità
Io migrante egiziano del “progetto Albania” (Un racconto immaginario)
Agli italiani piacciono davvero i containers collocati in Albania per la risoluzione di un problema quale quello delle migrazioni verso l’occidente?
Di Rosamaria Fumarola
Agli italiani piacciono davvero i containers collocati in Albania per la risoluzione di un problema quale quello delle migrazioni verso l’occidente?
Io migrante egiziano, dopo la prigionia ed il rapimento e le torture in Libia sono riuscito a raggiungere l’Italia. Anche in Libia mi domandavo chi volesse la mia sofferenza e quella di chi mi era vicino, anche se si sa, pensavo soprattutto al mio dolore, a me individuo di fronte agli aguzzini. Capivo però che era quella sofferenza procurata un altro modo per cercare di sopravvivere, per sottrarsi alla fame ricattando e lucrando.
In Italia non mi avrebbero torturato. Quando però dopo il viaggio nel Mediterraneo sono arrivato a Lampedusa, in poche ore mi sono ritrovato ancora in mare, su una nuova imbarcazione assieme a pochi altri nelle mie stesse condizioni. Mi hanno detto che essendo maschio e sano sarei stato trasportato in Albania ed infine rimpatriato. Cosa significa essere maschi e sani? I miei compagni, ombre di esseri umani col terrore negli occhi erano maschi e sani? Non basta quella paura a fare di noi dei mezzi uomini? Quando poi abbiamo raggiunto l’Albania abbiamo saputo di trovarci in una prigione e non una di quelle costruite con i mattoni, ma una fatta di containers assemblati, circondati e coperti dal filo spinato, una di quelle che servono a punire chi ha violato la legge, chi ha rubato, ucciso, stuprato. Persino costoro però hanno un nome ed un cognome, quello che noi non abbiamo mai, nemmeno da morti, noi ridotti a cavie senza diritti del “progetto Albania” per il vantaggio di chi? Noi separati da madri, mogli, figli, incarcerati e rimpatriati per produrre deterrenza? E sarebbe questo un modello virtuoso per l’intero occidente? E perché gli italiani sono disposti a votare chiunque assicuri loro di rimandarci dove siamo fuggiti, perché sono convinti di dover dividere ciò di cui godono con noi, quasi come se fossero individualmente obbligati ad aprire le porte delle loro case per darci ospitalità? Il nostro è un problema che non può essere risolto dalla cattiva o buona volontà di ciascuno, ma da scelte politiche che non devono prescindere dalla nostra volontà di vivere un’ esistenza migliore.
Ora siamo al Cara di Bari, trasportati fin qui sulla nave Visalli. Mi hanno detto che Visalli era un sottufficiale della Marina morto a Milazzo nel 2020 nel salvataggio di un ragazzo di quindici anni aggrappato ad una boa nel mare in tempesta. Non è questo il mio racconto. Eppure non scordo gli abbracci, le lacrime di chi ci ha mi ha accolto.
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