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Jazz americano e jazz europeo: linguaggi davvero in conflitto?

È spesso capitato che i miei amici mi chiedessero quanto ci fosse di vero nel fatto che il jazz migliore non provenisse più dall’America ma dall’Europa ed in particolare da quella del nord. La domanda non era e non è priva di senso.

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È spesso capitato che i miei amici mi chiedessero quanto ci fosse di vero nel fatto che il jazz migliore non provenisse più dall’America ma dall’Europa ed in particolare da quella del nord. La domanda le prime volte mi lasciava spiazzata, perché non ero abituata a pormi quest’ interrogativo. Nonostante ciò bastava che andassi a guardare quali fossero i miei jazzisti preferiti degli ultimi trent’anni ed in effetti mi accorgevo che il numero dei musicisti europei dei quali avevo acquistato i lavori era senz’altro maggiore rispetto a quello dei colleghi statunitensi. Ovviamente coloro i quali mi ponevano la domanda non lesinavano di chiedermi conto anche della ragione, del perché cioè la produzione jazzistica statunitense fosse stata surclassata da quella europea. Questo secondo interrogativo mi pareva però improponibile, perché ho sempre considerato l’arte come il frutto dell’incontro, della mescolanza, dei quali non fosse possibile in nessun modo individuare precisamente i confini. 

“Sì,  in Norvegia viene prodotta musica straordinaria ma questo non esclude che non se ne possa trovare di altrettanto bella in qualsiasi altro posto al mondo”. Era più o meno questo il tenore della risposta che avrei voluto dare ai miei amici ed in effetti io non mi domandavo mai quale fosse il luogo di nascita di un musicista,  ma quale fosse il “peso” della musica che produceva. Eppure quando da ragazza mi ero imbattuta nella ECM, il fatto che questa etichetta fosse nata così lontano dalla patria dei jazzisti che di più avevo amato mi aveva fatto una grande impressione. Oggi  pur partendo dall’ impostazione che sempre mi sono data, individuo possibile risposte a quelle domande tenendo conto di alcuni fenomeni che per la loro natura umana conservano sempre una certa dose di “liquidità”,  come direbbe Bauman. 

Che a partire dalla fine degli anni sessanta l’ Europa sia stata capace di produrre una musica di qualità altissima ed innovativa tanto per tecnica quanto per contenuti è un dato in effetti innegabile,  spiegarne le ragioni in maniera scientifica ed una volta per tutte non solo non è possibile, ma sarebbe intellettualmente disonesto. Un elemento che tuttavia può essere considerato assieme ad altri all’ origine del cambiamento di cui sopra è quel grande mescolamento di carte ed arricchimento di metodi ed ideali che prese il nome di sessantotto e che diede vita ad esplorazioni mai sperimentate prima in ogni campo del sapere. Questa fu a sua volta la ragione per la quale il jazz che da quel momento in poi fu prodotto in Europa fosse una componente spesso costante, ma sempre una singola componente di una musica complessa, affiancata anche alla classica, alla musica folk e alle produzioni di matrice popolare,  soprattutto asiatiche ed anche al rock ed alla musica elettronica. A fare da catalizzatore poi del fenomeno un contributo notevole ed imprescindibile è stato quello dato dal tedesco Manfred Eicher e dalla sua casa discografica, la ECM, una sorta di miracolo resistente al tempo ed alla barbarie del consumismo, con sede appunto in Germania.  Eicher, anch’egli musicista, con la ECM (Editions of Contemporary Music) produsse il suo primo album nel 1969, un disco di Mal Waldron, a cui seguirono quasi tutti quelli di Garbarek e Jarrett, ma anche quelli di Metheny, Ralph Towner, Chick Corea, John Abercrombie, Gary Burton, Enrico Rava etc.

La ECM ha reso sempre possibile l’incontro della ricerca e delle sperimentazioni di tutti i generi musicali, seppur entro i confini di un’estetica rigida quale è sempre stata quella del suo fondatore, ma permettendo comunque ai diversi musicisti di fare arte prescindendo quasi completamente dalla necessità  di incontrare i gusti del pubblico. Nel 2019 la  ECM ha festeggiato i suoi cinquant’anni, permettendo non solo alla musica nord europea, ma anche a quella italiana (i nostri jazzisti sono oggi tra i più apprezzati al mondo) e di ogni altro paese e continente di avere un canale entro il quale esprimere parte della propria ricerca, lasciandone così una preziosa testimonianza. 

In ambito artistico si è dunque ancora una volta concretizzato ciò che la realtà politica rende invece di fatto sempre impossibile. 

Non sono tra coloro i quali considerano ogni uscita della ECM un grande lavoro. Personalmente sono spesso stata critica nei confronti delle stringhe imposte da Eicher ai suoi musicisti, eppure non posso non riconoscere lo sforzo di una tensione alla qualità, di frequente peraltro raggiunta, che nella temperie attuale mi appare più rara e preziosa che mai.

Rosamaria Fumarola

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano