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Editoriale

Il corpo dei poveri 

In America la percentuale delle persone obese sfiora il settanta per cento e l’obesità riguarda soprattutto gli afroamericani e gli ispanici, cioè le fasce economicamente più deboli della popolazione. È così anche nei quartieri più poveri delle città del nostro paese?

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Credit foto Tom Kelley Archivio Getty

Di Rosamaria Fumarola

In America la percentuale delle persone obese sfiora il settanta per cento e l’obesità riguarda soprattutto gli afroamericani e gli ispanici, cioè le fasce economicamente più deboli della popolazione. 

L’Italia, che pure è tra quei paesi che seguono, nel bene o nel male ciò che gli americani anticipano, per il momento non pare colpita dal fenomeno dell’obesità nella misura drammatica in cui è colpito il nord America. 

Per sincerarsene basterà fare una passeggiata nei quartieri più a rischio delle nostre città, dove i poveri non li riconosci perché sono grassi, ma ancora per le spie tradizionali, classiche dell’indigenza. 

Nelle strade del quartiere Libertà di Bari ad esempio, dove è concentrato un gran numero di immigrati ed indigenti, l’obesità non è il tratto caratteristico dei residenti. Al “Libertà “infatti, sarà più facile imbattersi in donne la cui età apparente oscilli  tra i quattordici ed i diciassettenne anni e la cui età anagrafica effettiva sia invece compresa tra i trenta ed i quaranta, piuttosto che intravedere ragazze bianche o di colore in evidente sovrappeso. 

La povertà le fa belle? Non è esattamente così. 

In effetti molte di queste donne indossano t-shirts che tante di noi non hanno osato acquistare nemmeno durante gli anni della scuola media inferiore, per non parlare dei jeans elasticizzati che con disinvoltura indossano dovunque vadano, assieme a bianchissime scarpe da tennis. 

Tuttavia, c’è qualcosa nel  volto, che tradisce il tenore delle loro giornate: scavato fino alle ossa, si mostra in totale sintonia con gli occhi, dallo sguardo fisso e di pietra come la fessura che ha preso il posto della loro bocca. 

Sembrerebbero i volti di cartapesta dei presepi di San Gregorio Armeno, a Napoli, perennemente attoniti e dall’improbabile colorito, se non fosse che questi ultimi hanno  nello sguardo un accenno, sia pure triste, di una qualche dolcezza, che un buon artigianato di statuette non manca mai di dipingere nei loro occhi, quella dolcezza con cui le donne più povere del “Libertà “non sembrano avere consuetudine. 

Sarà facile vederle passare mentre spingono un passeggino, sempre con la medesima espressione dipinta sul volto. Di tanto in tanto le si potrà sentire parlare la loro lingua, una lingua gutturale che ben si sposa con la durezza di quelle labbra e con i muscoli tesi di quei colli, una lingua usata per discolparsi lapidariamente e sbrigativamente da qualsiasi accusa. È inevitabile domandarsi quale sia la causa di tanta magrezza, l’origine di quei lineamenti, fatti solo per una perenne difensiva,ma la risposta non sarà facile da fornire, senza conoscere le giornate di queste signore, il ruolo, lo spazio loro concesso nell’ambito familiare. Sarà pertanto più facile continuare ad identificarle da taluni aspetti, tutti esteriori,come le scarpe da tennis bianchissime e gli abiti dozzinali ma sempre immacolati. Sembra infatti che non manchi mai nelle giornate di queste donne, il rito della quotidiana pulizia degli indumenti indossati e di tutta la biancheria. Sarà più facile trovare un maglioncino macchiato, sulle spalle di una studentessa universitaria, che non su quelle di una donna del “Libertà “. 

Ma perché non si sottraggono mai a questa pratica, che considerano un valore irrinunciabile della cura di sé e dei propri familiari? Anche in questo caso, ammetto di non essere in grado di dare una risposta certa. È probabile che la pulizia sia per loro l’ultimo baluardo, la sola pratica possibile, in una marea di riti borghesi da cui da sempre e per sempre sono escluse. 

Certe donne del “Libertà”conoscono abusi e violenze ( dev’essere per questo che i loro volti appaiono sempre arrossati e tesi) e non sono magre perché non hanno cibo a sufficienza. Queste donne appaiono piuttosto divorate da una febbre che attraversa loro le membra, un misterioso morbo che le fa apparire come figure tragiche, condannate dagli dei a guardare per sempre qualcosa che non potranno mai avere. 

È proprio questo ciò che l’espressione dei loro volti lascia trasparire: la condanna a desiderare per l’eternità senza mai possedere. 

È probabile che in futuro i loro figli si aggireranno per le strade del quartiere mostrando corpi obesi deformati dall’adipe, come accade già nelle città americane e che qualcuno possa persino ritenere che questo sia l’evidente sintomo del miglioramento delle loro condizioni di vita. 

È probabile. 

La sola cosa certa è che da magri o da grassi questi residenti dei quartiere più poveri occuperanno sempre lo stesso posto nella gerarchia sociale delle nostre città: l’ultimo. 

   RIPRODUZIONE RISERVATA ©                                                                                          

Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano