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Ma come fanno i ricchi?

Il posto al sole che abbiamo desiderato e talvolta raggiunto, ha sì luce e calore,  ma anche ombre, che per quanto grandi siano le nostre risorse, non ci è dato cancellare. 

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Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio "Natura morta" (credit foto Pinterest)

Cercare un posto al sole. È questo l’obiettivo della maggior parte di noi dal momento in cui entriamo a far parte del mondo. Azzerare o quantomeno ridurre al massimo le probabilità lasciate all’alea, di abbattersi sulle nostre vite, pur sapendo che anche ridotto al massimo, il caso può capovolgere l’esistenza, ponendoci in una condizione nella quale fino ad un attimo prima non avremmo pensato di trovarci. Pericle ad esempio, secondo Tucidide, avrebbe condotto gli Ateniesi alla vittoria contro gli Spartani se non avesse contratto il morbo che lo avrebbe portato alla morte ed è forse questo che Michelangelo Merisi,  detto il Caravaggio, voleva indicarci quando, in una sua celeberrima natura morta, inserì un frutto bacato, simbolo dell’imperfezione o della nostra interpretazione sbagliata della realtà e dei fini della natura. È questo uno degli elementi che fanno dell’artista un genio già classico ai suoi tempi, come lo fu Fidia o mutatis mutandis Sofocle. Caravaggio è infatti realista e lo è autenticamente. Ogni suo dipinto rompe il linguaggio preesistente di forme e simboli, per imporre la verità disarmante della natura, con le sue poche leggi sufficienti a trascinare il carro di secoli di storia senza mendicare permessi,  tanto meno all’uomo e spazzando via ogni infingimento e sovrastruttura. Caravaggio rappresenta solo ciò che conosce e vede e non è per questo interessato ad una bellezza vuota ed astratta. Nei suoi dipinti del soggiorno napoletani ad esempio, la compresenza di “basso” ed “alto” fotografa una caratteristica tipica di Partenope,  forse la maggiore ancora oggi della città e per questo importante per un’artista come lui. 

La ricchezza, scrivevo sopra, riduce l’alea ed è spesso votata al bello, ad azzerare la bruttezza della fatica ed esaltare una lindezza assoluta. A fare da contraltare si dirà, la defaillance del corpo che senza rimedio invecchia benché, non essendo una sorpresa, a quest’idea si finisca prima o poi con l’adeguarsi. Ciò che invece a mio giudizio è destinato a continuare a sorprenderci è quello che, nonostante i nostri sforzi di creare una realtà nella quale ci sentiamo a nostro agio e che ci aggradi, anche disponendo di mezzi adeguati, resta inafferrabile e sempre uguale a sé stesso, come spia della complessità della realtà che non può essere ridotta ad un ordine scevro da contraddizioni. 

Un tempo, le ambiguità del reale erano lette come espressione di entità maligne, che tramavano per disorientare e realizzare il male, evidentemente inteso come scisso da ciò che chiamiamo bene. Il contributo della tradizione cristiano cattolica in tal senso è stato determinante. Oggi interpretiamo la realtà in modo meno superstizioso. L’Illuminismo ed ancor prima scienziati ed intellettuali come Giordano Bruno o Galileo Galilei, hanno aperto sentieri nuovi della conoscenza, sebbene menti critiche vi siano state in ogni tempo e persino all’interno dello stesso cattolicesimo sin dalle sue origini. Le stesse divinità greche e romane erano molto più contraddittorie e complesse di quanto per certi versi non lo sia stato il cristianesimo. 

È noto che la sola divinità da tutti riconosciuta è oggi la possibilità di “consumare”. È questa la droga di cui siamo tutti schiavi, il rito irrinunciabile e che ci fa sentire parte di qualcosa. Il tipo di consumo che ci viene messo a disposizione è però frenetico e non privilegia una classe sociale sopra un’altra. Questo ci tiene legati assieme mentre compiamo il medesimo viaggio, nel quale tutti acquistano ed i soli privilegi riconosciuti sono quelli commisurati alle cifre a disposizione sul nostro conto in banca. Eppure, nonostante ciò, tutti, consapevolmente o meno, abbiamo sotto gli occhi le medesime cose. Sulla nave da crociera più bella, affacciandoci sul ponte, guarderemo una piattaforma corrosa dalla salsedine e nella cabina più costosa dei tubi sporchi di grasso. Non ci badiamo, siamo convinti di aver avuto il meglio perché sappiamo di averlo pagato, il resto non conta. Se fossimo più attenti scopriremmo che la piattaforma corrosa è la stessa su cui si trattengono anche quelli che non hanno una cabina bella come la nostra. Che la polvere e la consunzione albergano dovunque, certo, in alcuni luoghi più che in altri, ma che non ci possiamo sottrarre alla materia, per quanto taluni suoi aspetti ci facciano orrore.  Ed allora, il posto al sole che abbiamo desiderato e talvolta raggiunto? Ha sì luce e calore,  ma anche ombre, che per quanto grandi siano le nostre risorse, non ci è dato cancellare.  E così, i pochi tra di noi che avranno la possibilità di sedersi su di un attico milionario, attorno ad un tavolo sul quale hanno ordinato vi fosse un vassoio colmo dei frutti più gustosi e belli, se vi rimarranno un pochino più a lungo noteranno tra i tanti uno, quel frutto bacato ritratto da Caravaggio, archetipo della dissoluzione di cui tutti partecipiamo.

Rosamaria Fumarola 

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano