Editoriale
MANIPOLAZIONE MEDIATICA
Di Benedetta Piola Caselli
Avete presente i bambini afghani passati dalle mamme ai soldati per metterli in salvo dai Taliban?
Bene, quella storia è stata volutamente manipolata.
E questo pone un problema gravissimo: quanto è vero quello che ci raccontano?
Purtroppo poco.
E ne pone anche un altro: perché crediamo a tutto quello che ci dicono? Dove è finito il nostro senso critico?
Partiamo dall’inizio.
La RAI, così come unanimemente i giornali italiani, hanno diffuso il video di una bambina che la mamma spinge in alto, verso un muro, mentre un soldato la prende e la porta dall’altra parte.
I commenti sono stati unanimi e chiari: la madre è disposta a separarsi dalla figlioletta pur di metterla in salvo dai taliban – è una storia che spezza il cuore.
Sorte ancor peggiore è toccata all’immagine del neonato passato sopra il filo spinato ad un soldato inglese: lì, addirittura, si è parlato di madri che gettavano i figli contro il filo spinato pur di non farli prendere dai tagliagole.
Si tratta di esempi di manipolazione dell’informazione, e sono gravissimi.
I filmati che riprendono le scene sono stati tagliati o completamente snaturati.
Guardarli per intero mostra tutta un’altra storia.
La bambine vengono, effettivamente, passate ai soldati che le portano al di là del muro, solo che dopo passano anche le madri.
Si tratta di persone su una lista prioritaria, con i documenti in regola per l’emigrazione, e quindi aiutate ad evacuare nonostante la folla impedisca fisicamente di arrivare ai cancelli per entrare in modo “normale”.
Il filmato integrale si può trovare qui: https://www.youtube.com/watch?v=7nQfDXHnr4k , guardate i minuti 1.00. 1.03, 1.16 per esempio.
Per il neonato la manipolazione è stata anche più grave.
Oltre al fatto che non è stato gettato sul filo spinato (!), e che quindi non c’è alcun “corpicino martoriato” (!), non esiste alcuna madre che supplica il soldato di portare via il bambino per salvarlo, al contrario: è il soldato che chiede : “Baby! Baby!” , e la folla glielo fa arrivare.
Ecco il video: https://youtu.be/KWpxuVHOAmQ
Perché, allora, il bambino viene passato al soldato?
Secondo quanto riferito dal portavoce dei militari, perché era stato segnalato come gravemente ammalato, e quindi volevano farlo visitare all’ ospedale norvegese all’interno dell’aeroporto: è stato poi prontamente riaffidato alla famiglia che, nel frattempo, era stata fatta entrare.
Il Pentagono ha chiarito l’ ovvio in modo indiscutibile: nessuno può portare via i bambini.
Smentite dopo tanto clamore, le testate giornalistiche hanno dovuto fare qualche timido passo indietro.
Quindi no madri disperate che affidano i bambini ai soldati per salvarli dai taliban; no neonati scagliati contro il filo spinato nel tentativo di metterli al sicuro; no pericolo imminente per i piccini che spinge a gesti estremi.
Si famiglie che cercano in ogni modo di uscire dall’ Afghanistan.
Senza voler nulla togliere al dramma di dover emigrare, la storia raccontata in questo modo è assai meno sensazionalistica di quella delle madri costrette a separarsi dai loro bambini per metterli in salvo.
Non c’è nessun complotto dietro questa manipolazione: è solo un trucco giornalistico per eccitare gli animi, commuovere e vendere di più; però c’è un altro problema, assai più grave del primo: perché ci abbiamo creduto?
Gli elementi per capire che quelle storie erano un insulto all’intelligenza, c’erano tutti.
Chi può credere che un soldato prenda un bambino, separandolo dalla madre, per portarlo in un paese straniero, senza che abbia ricevuto l’ ordine di farlo?
E perché un ordine avrebbe dovuto riguardare un solo ragazzino, peraltro a caso, e non tutti i bambini dell’Afghanistan?
E se esiste un programma inglese o americano per portare i bambini al sicuro in Europa o in USA, perché non ne abbiamo mai sentito parlare?
Gli inglesi rubano i bambini?
Gli americani rubano i bambini?
E se fosse stata un’iniziativa del singolo soldato tollerata dai suoi superiori, che cosa ne avrebbe fatto del piccino? Perché lo avrebbe preso? Lo avrebbe adottato lui? Lo avrebbe messo in un orfanotrofio?
La storia era ridicola – per non parlare dei “corpicini martoriati” gettati sul filo spinato, eppure è stata, e continua a essere, propagata dalla televisione, dai giornali e dai social: fate il conto di quanti, fra i vostri contatti, l’hanno diffusa.
Ma se è così ridicola, perché continuano a proporcela, e perché tanta gente ci crede?
E’ una domanda difficile a cui rispondere.
Forse siamo abituati ad un bombardamento mediatico talmente insistente, talmente strutturato, talmente veloce, che il risultato è una sorta di lavaggio del cervello.
E poi c’è un altro fattore: grazie ai social si diviene parte dell’informazione, perché si è chiamati a diffonderla, a commentarla; in questo ruolo di osservatori partecipanti, analisti, giornalisti sussidiari, è necessario essere tempestivi e non si può avere il tempo per riflettere.
Inoltre, la conformità di pensiero rispetto alle tragedie fa sentire “gruppo”, rafforza l’idea di essere persone buone, sagge, importanti; il numero dei “like” presi è prova della correttezza delle idee.
Senza nulla voler togliere alla drammaticità di questi giorni, ci sono varie altre notizie che dimostrano la malafede della nostra stampa.
Ad esempio, che le giornaliste sarebbero state costrette ad indossare il velo.
E’ falso.
Nessuno le ha obbligate; nessun’autorità ha imposto questa regola.
Sono state loro a scegliere di farlo, per sottolineare la drammaticità del momento e il pericolo che viene corso per i diritti della donna.
Il caso è simile a quello della giornalista tedesca che, per raccontare l’alluvione, si era cosparsa il viso di fango:
E’ stato dato risalto all’aggressione a Clarissa Ward, cronista della CNN che sarebbe stata aggredita una prima volta perché non aveva il velo, e una seconda perché aveva il volto scoperto.
Da quello che racconta lei stessa, la prima volta si è trattato verosimilmente di uno squilibrato; lei stessa ha poi scelto di indossare il velo per rispetto alla cultura del paese, e il secondo episodio è stato un commento all’interno di un diverbio all’interno di un’intervista.
Anche il fotografo del Los Angeles Times è stato aggredito: gli è stato dato un pugno in testa, gli è stato chiesto di cancellare le foto ed è stato “detenuto”, per quello che riporta lo stesso giornale, per 20 minuti.
Una esperienza certamente spiacevole, ma che non appare di enorme gravità.
Allo stesso modo, si è detto che le ragazze non possono più frequentare scuole ed università: eppure, nessuna regola è ancora in vigore, e i taliban hanno assicurato che l’istruzione, anche femminile, sarà garantita.
Può darsi che non sia vero, e che si rimangeranno la parola data.
Però, al momento, non esistono provvedimenti restrittivi (non ci sarebbe stato il tempo di approvarli, fra l’altro, e certo non è una priorità in questo momento), mentre ci lasciano intendere il contrario.
E ancora: i giornali riportano, piuttosto vagamente, che i taliban stanno andando “casa per casa” fin dalle prime ore dopo l’entrata a Kabul.
Ma cosa vuol dire esattamente?
Chi stanno cercando? Quante persone? Chi hanno trovato?
Per quello che ne sappiamo, i taliban hanno tentato di arrestare alcuni dirigenti locali particolarmente compromessi con gli americani, e hanno minacciato alle loro famiglie se non si consegneranno.
Non sappiamo né chi, né quanti.
Così come le “esecuzioni sommarie” che vengono presentate come comuni ma, per ora, sembrano essere state decisamente limitate nel numero.
Sappiamo che è stato giustiziato il capo della polizia Hajjii Achaksai, catturato e ucciso da un gruppo di studenti coranici con cui aveva vari conti in sospeso.
Sarebbe stato ucciso anche un parente di un giornalista di Deutsche Welle, si dice per una vendetta contro di lui, ma non si conoscono esattamente le circostanze.
Sono episodi drammatici, certamente al di fuori delle regole del giusto processo, ma lontane dagli omicidi di massa che pure sembrerebbero avvenire, secondo le narrazioni di certa stampa.
Attenzione: non è detto che , fra poco, non comincino le rappresaglie indiscriminate.
E’ possibile che succeda: solo che, al momento, non sembra che siano ancora avvenute.
Se lo sono, non abbiamo dati precisi e verificabili e quindi non si può essere certi di nulla.
Inoltre non c’è dubbio che, con i taliban al potere, per molti gruppi la situazione peggiorerà e diventerà pericolosa.
Sicuramente lo sarà per chi ha collaborato con gli stranieri – considerati esercito di occupazione – così come avviene in tutte le guerre.
E’ altamente probabile che le discriminazioni coinvolgeranno la comunità Lgbtq+ e le minoranze tribali.
E’ probabile che peggiori anche per le donne, ma non è detto: i taliban cercano legittimazione internazionale e, per averla, dovranno fare delle concessioni ai gruppi vulnerabili per cui la comunità internazionale è pronta ad insorgere.
Per capirci, è più facile che la comunità internazionale si sdegni per il divieto di accesso delle donne all’istruzione (se ci sarà), che per un massacro degli hazara.
Ma la possibilità che la transizione avvenga in un modo passabilmente elastico non è peregrina: la ricerca di legittimazione potrebbe veramente spingere i taliban a più miti consigli.
La situazione quindi potrebbe precipitare, forse lo farà, però non c’è certezza; e gli unici atteggiamenti razionali sono la prudenza e il vaglio attento delle informazioni che vengono fornite.
Anche perché la nostra stampa ancora non ha risposto ad una domanda preliminare: perché, se gli afghani temono così tanto i taliban da tentare un esodo di massa, nessuno ha sparato un colpo per impedirne l’avanzata, né un esercito di 350.000 uomini addestrato per 20 anni e completamente armato, né i civili a difesa delle proprie vite, delle proprie famiglie, delle proprie case?