Inchiesta
La resa americana in Siria
di STEFANO ORSI
L’incredulità è stato il primo sentimento provato di fronte a tale decisione.
Cosa è accaduto?
Mercoledì 19 dicembre, il Presidente Americano Trump ha ordinato all’esercito di far ritirare, pare entro il 18 gennaio 2019 tutti i soldati presenti sul territorio siriano “ritiro pieno ed immediato” e di riportarli in Iraq da li verranno destinati a nuove missioni o richiamati in Patria.
Questa decisione non è l’unica si attende anche un analoga scelta in merito alla missione in Afghanistan, che però è NATO.
Il Pentagono si è opposto a questa scelta che giudica sbagliata, il segretario alla difesa James Mattis, generale in congedo. Non è una defezione da poco, il generale infatti rappresentava un elemento di spicco del Gabinetto Presidenziale.
La partenza di un pezzo da 90 come il generale “mad dog” Mattis non è cosa da sottovalutare, classe 1950, ha comandato il Marine Expeditionary Force, lo United States Marine Forces Central Command, la 1° Marine Division durante la guerra dell’Iraq, dal 2007 al 2009 è stato al comando del NATO Supreme Allied Command Transformation, ha comandato lo United States Joint Forces Command e ha poi sostituito il gen. Petreus.
Come Segretario alla Difesa era anche capo del Pentagono, resterà in carica fino a Febbraio per permettere di trovare un suo sostituto e garantire la continuità nella catena di comando ed il futuro passaggio di consegne.
Situazione in Siria
Cosa accade ora in Siria?
Come saprete, avendo seguito la nostra rubrica settimanale, la situazione in Siria si fa davvero molto difficile per gli alleati mercenari degli USA, SDF e YPG curdi, questi gruppi infatti, dopo aver attaccato più volte le forze siriane ancora presenti nella provincia di Hassakah, ricorderete gli scontri più volte segnalati in questi tre anni, ora devono fare i conti con i Turchi da nord e i siriani, la popolazione ha lanciato molti segnali di insofferenza all’occupazione dei territori ad est del fiume Eufrate da parte di queste forze mercenarie.
La mossa americana avviene dopo una serie serrata di telefonate tra il presidente turco Erdogan e il presidente Trump, susseguitisi per circa una settimana, a seguito dell’incedere delle preparazioni turche per l’attacco al nord della Siria. Il pres. Trump, seguendo probabilmente le indicazioni dei suoi consiglieri, tra cui lo stesso Mattis, ha cercato di rispondere con l’invio di rinforzi e materiale per la costruzione ed approntamento di una serie di centri di osservazione presidiati da soldati USA lungo il confine con la Turchia, e allo scopo erano stati inviati una serie di convogli di camion e TIR da trasporto civili che recavano materiale per logistica e assistenza ai soldati.
Ieri sera questi camion sono stati filmati in partenza dalla città di Qamisly dove erano parcheggiati e fare ritorno verso l’Iraq da cui erano arrivati.
https://twitter.com/twitter/statuses/1075853166355337216
Ad ora non ho notizie di un ritiro iniziato da parte dei soldati sul campo, sebbene vi siano testimonianze da parte di capi delle milizie mercenarie al servizio degli USA che dalla base illegittima di Al Tanf comunicano a fonti di stampa che le preparazioni per la partenza siano iniziate con un inventario accurato in corso, propedeutico alla prossima partenza.
Le modalità potrebbero essere le seguenti, le forze USA presenti in Siria verranno radunate presso un numero limitato di basi siriane e da li, sotto pesante scudo aereo, fatte rientrare in Iraq o in Turchia a seconda della modalità di evacuazione se via terra o aerea.
Come si stanno muovendo invece le forze mercenarie al soldo USA.
Innanzitutto i Curdi, le milizie curde si erano ritirate settimane fa dai fronti meridionali per approntare le difese dei territori a nord , in particolare le città, tra cui la nota Kobane. Al momento abbiamo notizia che da ieri pomeriggio siano in corso a Damasco una serie di incontri tra le delegazioni curde e SDF arrivate in volo da Qamisly per discutere i termini dell’immediato o almeno repentino passaggio delle regioni a nord e dei pozzi di petrolio di Omar, sotto controllo siriano, al fine di garantire che non avvenga l’operazione turca di occupazione dei cantoni occupati dalle milizie YPG.
Manbij, invece, starebbe per essere già ceduta sotto completo controllo siriano, l’esercito ha schierato nei mesi e settimane scorsi una Divisione attorno a Tall Rifat e a sud di Al Bab, pertanto potrebbe velocemente spostarle e prendere il completo controllo del settore, per poi procedere con il disarmo delle milizie, garantendo in questo le richieste turche di disarmo dei Curdi.
Le SDF non credo abbiano troppi problemi, molti di loro fanno parte di milizie tribali, servirono i cosiddetti “ribelli” all’inizio delle operazioni di “regime change” in Siria secondo la “dottrina Obama”, passarono poi a rimpinguare le schiere dell’ISIS, che pagava meglio, e poi cambiarono nuovamente bandiera quando a seguito dell’intervento russo in Siria, l’ISIS si trovò privato della flotta di cisterne per il contrabbando del petrolio da cui traeva il flusso di denaro contante necessario a pagare le milizie oltre ai fondi che arrivavano dai Paesi sponsor del terrorismo, ed ammainarono le bandiere nere per issare quelle gialle delle SDF e garantendo le mirabolanti avanzate, senza colpo ferire di cui tanto si vantavano le YPG curde…
Ora quindi si trovano con le spalle al muro, un muro fragile oltretutto dietro il quale sempre nuove sorprese a loro danno paiono nascondersi.
Eppure non ci era parso difficile immaginare che posti di fronte alla scelta tra un alleato in posizione strategica come la Turchia e le milizie curde, ecco gli USA forse ci avrebbero pensato su davvero molto, e dopo due secondi avrebbero scelto senza dubbio di tenersi l’alleato strategico e abbandonare ai rovi gli inutili curdi ed SDF.
I sogni di Obama di finanziare ed organizzare un cambio di regime in Siria erano naufragati con l’arrivo delle forze armate russe, cosa già esaminata nei tempi e nei modi in questi tre anni, pertanto le scelte e preferenze di Trump, ampiamente manifestate in campagna elettorale erano chiarissime, ritirare i soldati da fronti ormai inutili, dispendiosi senza sbocco utile agli USA e dopo le elezioni di medio termine, Donald rompe gli indugi e decide contro tutti.
Il Presidente USA al momento è un uomo solo, ha contro non solo i democratici , ma anche gran parte dei suoi repubblicani, pertanto non naviga in buone acque, ma in acque torbide ed estremamente perigliose.
Mettersi contro le lobbies militari in USA è già costato caro a presidenti più illustri ed amati di lui in passato.
Naturalmente il plauso è arrivato dalle presidenze russe, siriane , iraniane, di Hezbollah, non poteva che essere così, da segnalare un episodio che vede gli iraniani protagonisti, ieri infatti un convoglio di 80 camion militari recanti materiali bellici e 400 soldati di scorta, ha passato il varco di frontiera tra Iraq e Siria, badate bene, la località era Al Qaim, da dove passa anche la ferrovia che collega i due Paesi. Da li hanno o proseguito per Deir Ezzour dopo la sosta ad Al Abukamal in Siria.
Il gesto e la loro missione era chiara, dimostrare che l’accordo e l’amicizia con lo stato iracheno ci sono e che soprattutto la via di terra che unisce Beirut a Damasco a Bagdad fino ad arrivare a Teheran è oggi aperta ed attiva.
La stampa mainstream occidentale brilla ancora una volta per la confusione, dapprima presi in contropiede non hanno divulgato e dato spazio alla notizia del ritiro americano, poi ne hanno parlato senza dare troppa enfasi al suo significato ma solo per mettere in evidenza le divisioni all’interno del governo e le dimissioni di Mattis, ora danno letteralmente i numeri, parlando con leggerezza inaudita della possibile presenza dai 20 ai 30.000 miliziani ISIS ancora in Siria e Iraq, e questo dopo solo pochi giorni dall’annuncio della riconquista di Hajin un villaggio lungo l’Eufrate ed aver parlato delle gravissime difficoltà in cui ormai versa l’ISIS in Siria, mentre dall’Iraq era già a suo tempo stata annunciata la totale sconfitta e eliminazione di ogni sacca residuale. Evidentemente soffrono di amnesie selettive e confusioni di comodo.
Sappiamo bene come le stime complessive dei miliziani jihadisti del Califfato non possano ormai superare le 2-3000 unità, soprattutto dopo la pesante sconfitta subita presso la montagna vulcanica di Al Safa, ad opera dell’esercito siriano.
Cosa dobbiamo ora attenderci? Innanzitutto che il ritiro annunciato dei soldati US avvenga, perchè finché guadagnano tempo, possono cambiare ancora idea, e non sarebbe la prima volta, le pressioni in tal senso su Trump devono davvero essere enormi. In seguito i territori colorati in giallo sulle mappe, indicante l’occupazione YPG e SDF, torneranno interamente sotto bandiera siriana e questo avverrà con la festa in strada di tutta la popolazione, le milizie verranno disarmate o sconfitte se resisteranno e i criminali che si macchiarono di crimini combattendo per l’ISIS verranno imprigionati e processati.
La guerra si avvicina sempre più velocemente verso il suo giusto epilogo, la vittoria finale di Siria, Russia, Ira, Hezbollah e di tutto il popolo siriano in particolar modo che tornerà presto a godere della pace e sicurezza che si merita e avviare la ricostruzione del Paese anche grazie alle risorse economiche che il petrolio e il gas garantiranno.
Resta il nodo di Idlib e la presenza dei terroristi qaedisti e miliziani al servizio della Turchia noti al mondo come FSA.
Qui la faccenda non è così semplice e temo si dovrà ricorrere alle armi per estirpare il cancro di al Qaeda.
Erdogan intanto, ha annunciato che data la decisione USA di ritirarsi e l’avvio della resa delle milizie, ritarderà le operazioni belliche nel nord della Siria, la pace ha una chance.
Stefano Orsi
Allego il link dell’ultima sitrep in video realizzata per Sakeritalia.it in cui facciamo il punto sulla situazione in Siria ed Ucraina prima dell’annuncio del ritiro USA.
Buona visione
https://www.youtube.com/watch?v=gVz64Kr66s8