17 Novembre 2024
Storia di ordinaria gentilezza
di Alessandro Andrea Argeri
Alle sei di pomeriggio c’è un bel cielo violaceo sopra le architetture barocche dell’Ateneo. Esco per andare in stazione con dieci gradi, pioggia, vento maestrale, tante domande sul perché scegliere una materia con lezione alle 15:40 (ah, già, l'”amor di linguistica”). “E da me che vuoi?”, starai pensando tu lettore.
Improvvisamente mi passa accanto un uomo senza cappuccio né ombrello, così, siccome andiamo nella stessa direzione, gli allungo il mio per ripararci insieme. Un gesto carino, un po’ di gentilezza, un piccolo passo verso un mondo migliore, la realizzazione del socialismo in terra – ok, no, questo sarebbe troppo, però almeno la cancellazione del nome dalla lista dei cattivi di Babbo Natale sì, e che cazzo sennò! -, ma soprattutto: per una volta che mi ricordo di portare l’ombrello (grazie mamma sei sempre top) sarà pure il caso di flexarlo, no?
Invece il tipo mi risponde: “No, grazie, fin da bambino mi piace camminare sotto la pioggia”. Allora scusa, fratello! Lungi da me rovinarti l’infanzia… Ritiro il braccio, nella speranza di non avergli compromesso anche una serena pubertà. Poi penso: “Sotto la pioggia? Con dieci gradi e il vento gelido? Questo sarà il classico soggettone a cui quando in estate chiedono di andare al mare risponde di no perché gli piace lo smog della città.”
Mannaggia alla droga…
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