10 Novembre 2025
Donne maggiormente sfruttate al lavoro, dentro e fuori casa
La sindrome da mancato riconoscimento: quando il lavoro uccide le donne (e non è un caso isolato)

Di Maddalena Celano
Un recente articolo pubblicato da la Repubblica ha riportato la vicenda di una dirigente italiana alla guida di un’équipe di 35 persone, rimossa dal proprio incarico senza motivazione chiara dopo anni di impegno e risultati. Poco dopo, la donna ha subito un ictus ischemico, che i medici hanno collegato a un logorio psico-fisico cronico derivante da condizioni lavorative inique e frustranti.
Questo episodio non rappresenta un’anomalia individuale, ma piuttosto un caso paradigmatico di ciò che potremmo definire sindrome da mancato riconoscimento: un disturbo psico-somatico associato alla prolungata negazione di valore, status e legittimità professionale.
Il problema non è solo psicologico: è strutturale e sistemico. Esso si inscrive in un modello di organizzazione del lavoro che penalizza le donne, ne svaluta i meriti e ne sfrutta l’energia produttiva e riproduttiva, dentro e fuori l’ambiente lavorativo.
2. Il danno silenzioso: quando la disuguaglianza diventa biologica
Le neuroscienze e la psicosociologia del lavoro (Karasek, 1979; Siegrist, 1996; Levi, 2005) hanno dimostrato che la deprivazione di riconoscimento, la mancanza di equità e l’assenza di controllo sul proprio percorso professionale sono tra i fattori di stress cronico più devastanti per l’organismo.
Nelle donne, tali fattori si amplificano a causa di un doppio vincolo: la pressione competitiva del lavoro retribuito e l’onere invisibile del lavoro di cura.
Secondo uno studio dell’INAIL (Rapporto annuale 2024), le patologie psicosociali e muscolo-scheletriche denunciate dalle donne lavoratrici italiane sono cresciute del 27% negli ultimi cinque anni, un incremento superiore a quello maschile. Si tratta, in prevalenza, di disturbi correlati allo stress, alla fatica cronica e all’usura emotiva.
3. L’anomalia italiana: pochi posti, alto rischio
L’Italia presenta uno dei gender gap occupazionali più marcati d’Europa.
● Tasso di occupazione femminile: 53,5% (contro una media UE del 69%).
● Tasso maschile: 72% (Fonte: Eurostat, 2024).
Tale squilibrio si accompagna a una maggiore vulnerabilità sanitaria e contrattuale delle donne lavoratrici. In altre parole, sebbene siano meno numerose, le donne italiane risultano più esposte a rischi fisici e psicologici connessi al lavoro.
Le cause principali, come sottolineato anche dall’OCSE e dal Ministero del Lavoro, sono:
● la segregazione occupazionale (le donne concentrate nei settori ad alta intensità relazionale e di cura);
● la precarietà contrattuale e i gap salariali;
● la sottovalutazione delle competenze femminili nei processi di valutazione e promozione.
4. I fattori strutturali dello sfruttamento
a) Il doppio carico di lavoro
Il 74% delle donne occupate in Italia si occupa quotidianamente del lavoro domestico e di cura, contro il 19% degli uomini (ISTAT, Uso del tempo, 2023). Ciò significa che la giornata lavorativa femminile non termina con il cartellino, ma continua a casa, in una dimensione non retribuita e non riconosciuta.
b) Il mancato riconoscimento professionale
Molte donne, come la dirigente citata, svolgono di fatto funzioni dirigenziali o di alta responsabilità senza il titolo né la retribuzione corrispondente. È un fenomeno diffuso, noto in letteratura come glass ceiling o sticky floor, e produce un logoramento costante dell’autostima e della salute mentale.
c) Le mansioni a rischio e la salute negata
Le donne sono sovrarappresentate nei settori più esposti ai rischi psicosociali e muscolo-scheletrici: sanità, assistenza, istruzione, commercio e pulizie.
Secondo INAIL, il 90% delle malattie professionali denunciate da lavoratrici riguarda disturbi muscolo-scheletrici, spesso aggravati da posture statiche e carichi eccessivi, ma anche da carenze organizzative e ritmi di lavoro intensivi.
5. Dal malessere individuale al problema politico
La sofferenza femminile nel lavoro non è una questione di “debolezza emotiva” o di “scarsa resistenza allo stress”, ma il risultato diretto di una costruzione sociale del lavoro maschile, che continua a misurare la produttività e la dedizione secondo parametri androcentrici.
Come sottolinea la sociologa Arlie Hochschild (2012), “le donne non solo lavorano di più, ma lavorano in contesti che non riconoscono il loro lavoro come tale”.
Questo mancato riconoscimento non è solo simbolico: produce patologie reali (cardiache, neurologiche, depressive) e un danno economico collettivo, poiché aumenta le assenze, riduce la produttività e grava sul sistema sanitario.
6. Cosa chiedere ora: dal riconoscimento alla riforma
Per contrastare la “sindrome da mancato riconoscimento” e la cultura del logorio femminile, occorre un approccio politico e istituzionale multidimensionale:
1. Pari riconoscimento e trasparenza nelle carriere
○ Introduzione di sistemi di valutazione oggettivi e pubblici per l’assegnazione di ruoli e incarichi.
○ Monitoraggio delle carriere interne e delle differenze retributive di genere.
2. Un welfare realmente universale
○ Servizi accessibili per infanzia, anziani e persone non autosufficienti.
○ Incentivi al work-life balance anche per gli uomini, per redistribuire il lavoro di cura.
3. Valutazione del rischio di genere nei luoghi di lavoro
○ Obbligo per le aziende di includere una gender analysis nei documenti di valutazione dei rischi (stress, ergonomia, molestie).
○ Formazione specifica dei medici del lavoro e dei responsabili HR sulle differenze di genere nei disturbi professionali.
7. Conclusione: il lavoro che ammala non è progresso
La storia di una singola donna colpita da ictus sul luogo di lavoro non è un incidente, ma un sintomo del fallimento di un modello produttivo disumano e patriarcale.
Il vero progresso sociale non consiste nell’inserire più donne nel mercato del lavoro, ma nel trasformare il lavoro stesso, affinché non diventi un luogo di sfruttamento e malattia.
Finché il riconoscimento rimarrà un privilegio e non un diritto, il lavoro continuerà a essere per molte donne non un mezzo di emancipazione, ma una forma lenta di logoramento.
Parole chiave: disuguaglianza di genere, stress lavoro-correlato, salute femminile, sindrome da mancato riconoscimento, doppio carico di lavoro, rischio psicosociale.
Fonti essenziali:
● INAIL, Rapporto annuale sulla salute e sicurezza sul lavoro 2024.
● ISTAT, Uso del tempo e lavoro di cura, 2023.
● Eurostat, Employment Gender Gap, 2024.
● Hochschild, A. (2012). The Managed Heart: Commercialization of Human Feeling.
● Siegrist, J. (1996). Effort–Reward Imbalance Model.
● Levi, L. (2005). Stress and Health in the Workplace.

