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La Transessualità non è più una malattia psichiatrica

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di LAURA FANO

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha appena rimosso dalla lista dei disordini mentali la transessualità.

 

 

Più precisamente, l’ha classificata all’interno della sua nuova e undicesima versione dell’Interational Classification of Disease, che sarà presentata all’Assemblea mondiale della sanità nel maggio 2019 per l’adozione da parte degli Stati membri per poi diventare effettiva dall’1 gennaio 2022 e che comprende oltre 55 mila patologie, nel capitolo di nuova creazione delle “condizioni di salute sessuale” per garantire l’accesso alle importanti interventi medici (come le cure ormonali) che le persone transgender possono chiedere.

In una nota dell’Oms si legge: “È ormai chiaro che non si tratti di una malattia mentale e classificarla come tale può causare un’enorme stigmatizzazione per le persone transgender”, che secondo l’Istituto Superiore di Sanità – che ha appena avviato il primo studio fatto nel nostro Paese sullo stato di salute di questa fascia della popolazione – in Italia sono 400mila, anche se per gli stessi esperti il dato è probabilmente sottostimato.

Una lunga battaglia quella per la depatologizzazione, che affonda le radici in anni lontani.

La protesta contro questo errato riconoscimento anche sociale era partita con accese manifestazioni, anche in Italia, negli anni Settanta, quando iniziarono le lotte contro i continui soprusi nei confronti dei “diversi”, che si battevano per il riconoscimento dei loro diritti.

Una battaglia culminata poi, dopo 45 anni, con la cancellazione dell’omosessualità almeno dall’elenco delle malattie mentali.

Quello del transessualismo è un fenomeno caratterizzato da una storia molto breve: il termine è stato coniato solo a partire dalla metà del XX secolo per indicare un disturbo di personalità che si distingue dal travestitismo e dall’omosessualità. Eppure, già nell’antichità esistevano dei soggetti che soffrivano per la non corrispondenza tra il genere a cui avvertivano di appartenere ed il proprio sesso biologico, assumendo nel corso della loro vita un atteggiamento e dei comportamenti più consoni al loro “sentire”.

Nella cultura occidentale, la prima testimonianza la ritroviamo nella mitologia greca: è la ninfa Cenis, amata da Poseidone. Il dio le chiese quale dono desiderasse, e Cenis disse che voleva essere trasformata in un invincibile guerriero. Diventò così Ceneo, combatté numerose battaglie ed ebbe anche un figlio.

La sua eccessiva superbia attirò però l’ira di Zeus, che lo fece uccidere dai Minotauri: al funerale il suo corpo assunse nuovamente fattezze femminili.

Nell’antica Roma esistevano i “Gallae”, Frigi, adoratori della Dea Cibele.


Una volta fatta la loro scelta di genere e religione, i fisicamente maschi Gallae, correvano lungo le strade e gettavano i loro genitali estirpati nelle porte aperte delle case, come un atto rituale.
Il padrone di casa che riceveva questi resti li considerava una grande benedizione. In cambio, il padrone di casa avrebbe curato il Gallae fino al pieno ristabilimento fisico. Il Gallae poi riceveva in cerimoniale abiti femminili, e assumeva una identità femminile. Solitamente erano vestiti come spose, o in altri splendidi abiti.

Gaio Svetonio Tranquillo, scrittore romano d’età imperiale, nel De Vita Caesarum ci racconta di Sporo che, dopo essere stato “emasculato” da Nerone, ricevette lo stesso trattamento che veniva riservato alle donne: l’imperatore lo prese con la sua dote ed il suo velo, proprio come se si trattasse di una moglie.

Anche i miti della storia greca e latina trattano l’ambiguità di genere: quello sull’origine dei sessi del Simposio di Platone, ad esempio, è un tentativo di giustificare la presenza dell’uomo e della donna attraverso l’immagine dell’ermafrodita.

In tempi moderni, la prima operazione di cambio di sesso è stata sostenuta molto probabilmente da Lili Elbe, nata nel 1886 in Danimarca con il nome di Ejnar Wegener. Inizialmente condusse una vita al maschile, diventando un discreto ritrattista e sposando anche una donna, Gerda, di aperti costumi sessuali. Nel 1930 Ejnar fu operato a Berlino per la rimozione dei testicoli, del pene e dello scroto.

Si sottopose a ben 4 operazioni, l’ultima delle quali, per poter dare un figlio al nuovo compagno, un trapianto ovarico: un intervento che ancora oggi ai limiti delle possibilità della chirurgia. Morì nel 1931 per complicazioni derivanti proprio da quest’ultimo intervento: un arresto cardiaco causato da una crisi di rigetto.

Solo a partire dagli Anni ’30 e ’40 del secolo scorso che gli scienziati iniziarono a interessarsi al tema della transessualità. Uno degli studiosi che per primo se ne occupò fu il fisiologo austriaco Eugen Steinach (1861-1944) che analizzò le correlazioni tra gli ormoni e l’identità sessuale, facendo i primi esperimenti di trapianto di testicoli su cavie.

Prima di allora i transessuali erano giudicati molto più sbrigativamente psicotici. O più tecnicamente affetti da metamorfosi sessuale paranoica. Secondo la Psychopathia sexualis (1886) – uno dei primi testi dedicati alle patologie sessuali – chi affermava di appartenere al sesso opposto era paragonabile a chi immaginava di essere Napoleone.

Quando nell’800 fu introdotta la categoria della “perversione” da parte del sapere medico-psichiatrico, la transessualità è stata subito collocata tra le forme di devianza.

In Italia fino agli anni Sessanta il clima culturale, perbenista e cattolico, costrinse i transessuali a vivere in una situazione di forte emarginazione sociale: erano individui dediti alla prostituzione, agli spettacoli clandestini, all’esclusione familiare e sociale. Era quello un clima lasciato in eredità dal totalitarismo fascista, che aspirava all’uomo rude, guerriero virile, condannando tutto ciò che nella società tentasse di allontanarsi dai modelli prestabiliti di femminilità e mascolinità, paternità e maternità, rigidamente imposti. L’indeterminatezza faceva paura e vi era la necessità di controllo: il codice Rocco, nato in piena epoca fascista, includeva al suo interno il delitto di procurata impotenza alla procreazione mentre chi si sottoponeva ad auto- evirazione poteva ricadere nell’accusa di autolesionismo.

Ma se in epoca moderna, in Occidente, l’ambiguità sessuale è stata spesso condannata, altrove non sempre è stato così. E in alcune culture, come tra i nativi nordamericani, avevano uno status quasi sacro. La filosofia spirituale di quei popoli, non solo accettava l’esistenza di un “terzo sesso”, ma gli affidava compiti da guaritori, consiglieri, sacerdoti o sciamani.

Oggi nel mondo sono tanti transgender famosi: da Vladimir Luxuria a Caroline “Tula” Cossey, passando per l’ex atleta e attore americano Bruce Jenner, Jannicet Gutierrez, Laverne Cox, Chaz Salvatore Bono, vale a dire Chastity, la figlia di Cher e Sonny Bono, la cui storia è diventata anche un film,  e Stephen il figlio dei famosi divi di Holywood, Warren Beatty e Annette Boeing,  nonché nipote della grande Shirley MacLaine, tanto per citarne alcuni.

Eppure, queste persone che si ritrovano loro malgrado in un corpo sbagliato, da molti sono considerati diversi tra i diversi. A tanti suscitano disagio. Ad altri desiderio. Ad alcuni violenza, e la cronaca è piena di stupri e persino omicidi in danno dei tansgender.

Quella dell OMS è certamente una decisione storica che va verso l’eliminazione dello stigma che ancora accompagna le persone che non si riconoscono nel proprio sesso biologico e che  sicuramente farà discutere perché il traguardo è ancora lontano.

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo