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Tour de France 2022: la crisi del ciclismo italiano

Il Tour 2022 conferma la crisi del ciclismo italiano già evidente nel Giro d’Italia e non solo di quest’anno.

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DI FABRIZIO RESTA

Credit foto:  Celso Flores license CC BY 2.0.

Il Tour 2022 non è ancora finito ma ha confermato quello che cerchiamo da tempo di nascondere: il grande ciclismo italiano non esiste più. Sono finiti i tempi di Coppi e Bartali, di Marco Pantani, di Nibali ma anche di Chiappucci, Bugno, ecc. E’ stato l’ennesimo Tour da dimenticare per gli atleti italiani, con la differenza che stavolta nemmeno le aspettative erano alte. Ci aspettavamo giusto qualche gioia sulla cronometro, confidando nel Campione del Mondo Flippo Ganna. Eppure anche lui ha “tradito”, un po’ per sfortuna (la foratura) un po’ per la bravura degli avversari, ci siamo accontentati di un deludente quarto posto. Archiviata la delusione, abbiamo riposto tutte le speranze in Damiano Caruso, effettivamente il migliore italiano nella competizione ma con un 22° posto che non può certo appagare. Tra l’altro lui ha ormai 35 anni ed è ormai più legato al passato che al futuro. Non è andata bene nemmeno nelle vittorie di tappa. Almeno per ora nessuna vittoria e pochissime volte anzi raramente, i ciclisti italiani sono arrivati tra i primi 10. Giulio Ciccone e Damiano Caruso possono ancora dire la loro sulle tappone alpine, allo scopo di riuscire per lo meno a vincere una tappa, ma con Pogačar che deve rincorrere Vingegaard (e dovrà dare tutto sé stesso per farlo) le possibilità si affievoliscono seriamente. Forse è più probabile qualche soddisfazione nella cronometro individuale alla penultima tappa, se le gambe di Filippo Ganna reggeranno.

La Roubaix di Colbrelli o i risultati di quest’anno di Filippo Ganna non traggano in inganno: sono solo le classiche eccezioni che confermano la regola ma che non riescono a dissipare la mancanza di competitività azzurra nelle grandi competizioni. Nelle grandi competizioni di primavera, che si chiamino Tour, Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre, Parigi-Roubaix o Liegi-Bastogne-Liegi, non abbiamo piazzato mai nessuno tra i primi dieci. Persino nel Giro d’Italia, la corsa in casa nostra, abbiamo avuto come migliori piazzamenti Nibali e Pozzovivo, rispettivamente 37 e 39 anni, al quarto e all’ottavo posto. Gli altri? distacchi superiori all’ora e mezza. Una catastrofe in piena regola. Anzi, Colbrelli e Filippo Ganna “purtroppo” sono diventati degli scudi dietro i quali la federazione si nasconde, invece di occuparsi di un movimento che sta sparendo.

Che è successo? Come in tutte le cose ci sono molte cause. Una tra tutte è la pressochè totale (o quasi) crisi delle strutture giovanili e delle società. Prima c’erano molti ragazzi che correvano. Magari non diventavano campioni ma diventavano comunque buoni corridori. Attualmente abbiamo solo qualche gregario. Il sistema Francia ci fa rendere conto di quanto siamo indietro:
1 La Francia ha 6 squadre al Tour (e che squadre!) l’Italia zero.
2 In Francia, durante il Tour, i giornali, sportivi e non, mettono la loro corsa in prima pagina, il presidente della repubblica, almeno un giorno, si reca in visita. In Italia il Giro ha un’importanza secondaria (forse anche terziaria) sui giornali e tv. Meglio mettere in prima pagina il gossip sul futuro di Dybala.
3 La Francia organizza il Tour de l’Avenir dal 1961, dedicato ai giovani, l’Italia ha il Giro d’Italia giovani che è stato ripreso da soli 6 anni. Tra l’altro il Giro d’Italia giovani ha decretato che tra i nostri giovani e quelli stranieri c’è un abisso. Miglior piazzamento di Davide Piganzoli, 10° a 10 minuti dal vincitore. Da sottolineare che i percorsi delle gare giovanili sembrano più voler formare i velocisti, capaci di vincere la singola tappa, anziché magari formare gli scalatori alla Marco Pantani. Perché anche al Tour la differenza la fanno le tappone di montagna, non le volate. Pogacar ne sa qualcosa.

L’aspetto più triste è che i soldi ci sono, mancano i giovani. Se non si tornerà ad investire sulle strutture giovanili, per l’Italia la strada sarà davvero in salita. Purtroppo è un serpente che si morde la coda: più non ci sono risultati e meno si investe, meno si investe e più mancano i risultati. Tra l’altro i costi per iniziare sono diventati elevatissimi. Aggiungete che il ciclismo è uno degli sport più faticosi che ci siano e quindi appare lapallissiano che i giovani puntino su altri sport. Sembra parlare del nostro ciclismo, Federico Rampini quando dice “Siamo in una crisi dovuta all’immensa quantità di risorse inutilizzate”.

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Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo