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Editoriale

Perché lo Stato dev’essere presente

L’intervento dello Stato in economia viene osteggiato per via dei ricordi del dirigismo economico, oltre che della statalizzazione dei mezzi di produzione tipica dei regimi totalitari del Novecento, di cui sono esempi noti l’URSS, l’Italia fascista, il nazionalsocialismo tedesco. Tuttavia negli ultimi anni lo Stato, lungamente considerato alla stregua di un nemico da combattere, sembra essersi preso una rivincita sulla dottrina neoliberista, secondo la quale il “welfare State”, l’assistenzialismo statale, indebolirebbe l’economia, pertanto dovrebbe essere ridotto ai minimi termini se non eliminato totalmente.

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di Alessandro Andrea Argeri

L’intervento dello Stato in economia viene osteggiato per via dei ricordi del dirigismo economico, oltre che della statalizzazione dei mezzi di produzione tipica dei regimi totalitari del Novecento, di cui sono esempi noti l’URSS, l’Italia fascista, il nazionalsocialismo tedesco. Tuttavia negli ultimi anni lo Stato, lungamente considerato alla stregua di un nemico da combattere, sembra essersi preso una rivincita sulla dottrina neoliberista, secondo la quale il “welfare State”, l’assistenzialismo statale, indebolirebbe l’economia, pertanto dovrebbe essere ridotto ai minimi termini se non eliminato totalmente. Tra gli esempi storici di interventi di salvataggio efficaci potremmo citare il New Deal di Roosevelt, il “nuovo patto” dello Stato con i cittadini americani dopo il crollo di Wall Street, grazie al quale l’intervento pubblico risultò essenziale per uscire dalla profonda recessione verificatasi dal crollo del mercato.

La crisi petrolifera del 1973 con la conseguente stagnazione dell’inflazione, ovvero la stagflazione, ha poi determinato un’inversione di tendenza: il mercato è stato considerato capace di assorbire le crisi autonomamente, lo Stato è stato avvertito come un peso con l’unico compito di abbattere i monopoli, liberalizzare, privatizzare, ridurre la pressione fiscale, liberare l’economia dalle regole, insomma per citare la “lady di ferro” Margaret Thatcher, illustre esponente del neoliberismo, era necessario “spingere indietro le frontiere dello Stato”, mentre per Reagan “il governo non è la nostra soluzione al problema, il governo è il problema”. Da lì in poi quindi la spesa pubblica è stata sistematicamente tagliata per ridurre il debito in relazione al Pil.

Il neoliberismo è quindi il motivo per cui da anni manca un’efficace programmazione economica, una politica industriale, investimenti capaci di portare progresso agli Stati. Eppure ormai è evidente come le crisi economiche si ripetano ciclicamente, il mercato non sia autosufficiente in quanto non assicura né crescita né equilibrio, la ricchezza non si produce da sé, la disoccupazione dev’essere contrastata attivamente perché non si assorbe da sola. Invece le disuguaglianze crescono, le crisi finanziarie avvengono con sempre più frequenza, i cittadini si impoveriscono, scompare la classe media, i consumi calano, la crescita non avviene. Oltretutto i monopoli si moltiplicano in barba agli antitrust, dunque il mercato non può considerarsi veramente libero in un sistema in cui l’1% della popolazione detiene la maggior parte della ricchezza.

Negli ultimi due anni però le recenti crisi bancarie, unite a quella pandemica, hanno richiesto il salvataggio degli istituti bancari oltre che delle imprese di Stato, le aziende strategiche sono state nazionalizzate, o comunque si è evitato di svenderle a concorrenti stranieri, vedasi il recente caso Pirelli dove il Governo ha usato il “golden power” per evitare di lasciarla ai cinesi. Seguono questa logica anche il Next Generation Ue e l’Inflation Reduction Act degli USA.

Di conseguenza la spesa pubblica è aumentata un po’ ovunque eccetto in Italia, dove non a caso il risultato è stata la stagnazione economica. Appare allora evidente quanto sia essenziale l’intervento statale in economia sia per distribuire ricchezza sia per un’efficace pianificazione industriale. Ma questo solo se a una politica monetaria viene affiancata una politica fiscale, siccome la disoccupazione è causata da una carenza di domanda. Il tutto ovviamente senza degenerare in uno Stato burocratico, clientelare, partitocratico, liberticida. Per il bene comune è necessario dunque uno Stato dotato di progettualità, poiché quest’ultima manca alla nostra classe imprenditoriale, insomma anche l’economia è una questione di democrazia.

Fonte: In Economia torna la mano (visibile) dello Stato. E forse non è un male

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).