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Cultura

Charles Mingus e Duke Ellington: storia di un’apparente contraddizione

Nel rapporto umano ed artistico tra Charles Mingus e Duke Ellington, nonostante la loro diversità, appare di tutta evidenza come sia impossibile applicare all’arte criteri rigidi ed unità di misura standard, essendo essa soprattutto atto creativo e pertanto sempre nuova e pertanto sempre libera soprattutto nella sua sintesi, non diversamente peraltro da quanto accade per l’animo di ciascuno di noi.

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“Beneath the Underdog” (al di sotto di un bastardo) è il titolo di un libro nel quale Charles Mingus racconta di sé e della sua vita da nero-giallo nell’America degli anni cinquanta (nelle vene del geniale compositore scorreva infatti anche sangue pellerossa). Che si attribuisca o meno anche a questo la scelta dell’artista di farsi  strumento politico per le battaglie di emancipazione dei neri, per sua esplicita dichiarazione non confondendo mai però il piano creativo con quello dell’impegno civile, Mingus rappresenta un unicum nella storia del jazz per più di una ragione. La prima è il suo straordinario talento che ci permette agevolmente di affiancarne il lavoro a quello dei più influenti jazzisti di tutti i tempi. La seconda è una contraddittorietà che sin dall’inizio caratterizzerà la sua vita. Basti pensare al fatto che per un certo periodo lavorerà a New York presso un ufficio postale, deciso ad abbandonare per sempre la sua attività di musicista. Lo stesso Mingus dichiarerà che sarà un altro genio, Charlie Parker, a tirarlo fuori da lì e ad aiutarlo a  procurarsi un ingaggio. Quella che però appare agli occhi di molti come la contraddizione più macroscopica della sua esistenza fu il  legame dell’artista con Duke Ellington e la sua musica, nei confronti dei quali ebbe sempre parole di eccezionale ammirazione. Converrà a questo punto che però io offra qualche elemento che sia in grado di rendere più chiara la questione. Duke Ellington, con cui Mingus lavorerà spesso è passato alla storia per essere un geniale musicista di colore che attraverso il suo lavoro ha cercato soprattutto il successo (che all’epoca poteva essere tributato esclusivamente da un pubblico di bianchi) e che lo ha fatto venendo spesso incontro alle richieste di quel pubblico, con scelte musicali di gusto compiutamente americano. Non è infatti casuale che la sua musica venga affiancata, sia pure in parte, a quella di Benny Goodman, il grande musicista bianco autore di un jazz volto a divertire più che a far riflettere. Mingus peraltro, durante tutti gli anni della sua formazione lavorerà con orchestre più vicine allo swing che non al bepop, al quale invece non aderì mai. 

Eppure nel mondo del jazz nessuno più di lui si schiererà espressamente dalla parte dei diritti dei neri,  aprendo la strada da un punto di vista artistico alla rivoluzione del free. Come si concilia dunque questa profonda contraddizione nelle scelte dell’ artista? La risposta può essere trovata nel cuore più profondo della sua musica, in cui armoniosamente sono esaltate e fuse assieme le componenti a cui esteticamente Mingus era maggiormente interessato, quelle che di più amava e che con tutta evidenza non si mostravano ai suoi occhi nella loro contraddittorietà, ma nella loro bellezza. Nel suo universo estetico sempre profondissimo e denso di un’umanità autentica, trova posto anche una dimensione sentimentale la cui matrice non è difficile da rinvenire proprio nella produzione di autori come Duke Ellington. Appare dunque di tutta evidenza come sia impossibile applicare all’arte criteri rigidi ed unità di misura standard, essendo essa soprattutto atto creativo e pertanto sempre nuova e pertanto sempre libera soprattutto nella sua sintesi, non diversamente peraltro da quanto accade per l’animo di ciascuno di noi.

Rosamaria Fumarola

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Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano