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Capofamiglia a chi?

In una società “liquida” quale la nostra, chi è il capofamiglia? Baumann forse farebbe notare che oggi anche la famiglia è in qualche modo “liquida” . Resta da chiedersi se abbiamo ancora bisogno di una figura come quella del capofamiglia.

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di Rosamaria Fumarola

Cosa sia una famiglia non è oggi cosa semplice a dirsi ed a ben guardare non lo è stato mai. Di semplici esistevano ed esistono solo gli stereotipi,  questi abiti quasi sempre scomodi e latori di un numero pressoché infinito di problematiche, tra cui non ultima l’emarginazione, che è già in sé un fattore da respingere con ogni mezzo, in qualunque luogo si realizzi, figuriamoci se nasce nel contesto familiare. Charles Baudelaire ne “Il mio cuore messo a nudo” sottolinea come il diverso, colui il quale non è assimilabile alla società ed all’ambiente nel quale trascorre la sua vita, subirà ancora prima una sorta di non accettazione da parte della famiglia di appartenenza. 

Anche gli stereotipi cambiano e nel tempo sono soggetti a mutamenti talvolta radicali: il ruolo di una donna greca era diverso da quello di una donna romana e sappiamo che questo era a sua volta molto diverso da ciò che accadeva presso gli etruschi, tra i quali la donna ricopriva un ruolo di primo piano, detenendo ed esercitando davvero il potere. 

Per Erodoto le donne persiane erano ben più influenti di quelle greche, persino nelle delicate questioni della politica, che ad Atene si esercitava nei luoghi pubblici che era consentito solo agli uomini frequentare. Appare dunque evidente come famiglia in senso generico e lontano da un preciso contesto storico sociale “means nothing” e questo non soltanto per i sacrosanti diritti oggi riconosciuti alle coppie non rappresentate necessariamente da un uomo ed una donna, ma per un cambiamento iniziato molti decenni fa. 

Lo sgretolarsi della famiglia tradizionale ha in qualche modo a che fare con il cambiamento dei costumi che ebbe inizio nel sessantotto e non solo per le legittime rivendicazioni e le battaglie di chi in quegli anni lottò, ma anche a causa di cambiamenti solo in apparenza marginali, come l’introduzione nella vita quotidiana di elettrodomestici quali la lavatrice o la lavastoviglie, che consentirono alle donne una sorta di affrancamento dalla schiavitù dei lavori casalinghi e la possibilità di dedicarsi ad altre occupazioni, magari fuori dall’alveo familiare. Certo questo ha comportato una crisi da parte di chi riteneva di essere detentore di un ruolo che nessuno avrebbe potuto portargli via e cioè il capofamiglia, colui che con il suo lavoro produceva da solo il reddito che sostentava l’intero nucleo parentale. 

Infondo non molti anni prima le donne avevano ampiamente dimostrato di poter combattere anche per un ideale politico: della Resistenza dobbiamo infatti essere grati tanto agli uomini quanto alle donne, sebbene la partecipazione femminile al fenomeno partigiano non sia piaciuto alla classe politica che si formò dopo il conflitto e che ha cercato di tenerlo celato quanto più possibile. Le donne durante le guerre hanno sempre dimostrato una grande capacità di reazione e di difesa della comunità, ma una volta superata la crisi bellica si è fatto in modo che tornassero al loro posto, quello che per tradizione spettava loro, quello sempre per tradizione scelto dagli uomini. Nel tempo però i legami tradizionali hanno perso sempre più la loro ragion d’essere. Il lavoro poteva essere svolto senza l’esercizio di una forza fisica come quella maschile ed il reddito dunque poteva essere anche quello prodotto dalle donne. Andrebbe per onestà intellettuale precisato che anche nei periodi antecedenti e lontani da quello appena descritto le donne, private per una qualsivoglia ragione della presenza maschile, hanno dimostrato di essere in grado di lavorare e badare da sole alla famiglia. Certo di queste donne nessuno parlava e parla, eppure molti di noi ricordano di averne conosciuta più d’una durante la propria infanzia.

Ed allora, in una società “liquida” quale la nostra, chi è il capofamiglia? Baumann forse farebbe notare che oggi anche la famiglia è in qualche modo “liquida” . Resta da chiedersi se abbiamo ancora bisogno di una figura come quella del capofamiglia: ne abbiamo bisogno nella misura in cui la società esige che i nuclei da cui è composta abbiano un referente responsabile soprattutto per le questioni di ordine economico. Le comunità attuali necessitano di questo tipo di figure, alle quali però, a differenza che nel passato, non viene richiesta autorevolezza, capacità di veicolare pensieri e valori importanti, la trasmissione della cultura, il rispetto delle leggi e degli altri, ma solo produrre il reddito minimo sufficiente a sopravvivere in un una società consumistica, in cui non viene sacralizzato nulla se non il denaro. È evidente che la produzione di un reddito può oggi essere richiesta tanto ad un uomo quanto ad una donna. Un essere umano ha tuttavia bisogno anche di altro e l’intera società ha bisogno di altro. È un parere del tutto soggettivo ma ho sempre ritenuto che fossero importanti quelle figure in grado di trasmettere tanto la necessità della disciplina, quanto quella della tolleranza, della compassione e se possibile della cultura. Questi sono elementi che consentono alle famiglie di essere parte di qualcosa, di non essere chiuse perché capaci di accogliere l’altro. Un nucleo chiuso di persone non soltanto è “malato”, ma non è nemmeno una famiglia. Laddove gli uomini siano infatti legati solo dal danaro, il concetto di famiglia scompare, venendo meno le ragioni profonde che presiedono alla sua esistenza. 

Ma se oggi un capofamiglia in senso tradizionale non esiste, siamo sicuri che esista ancora la famiglia? Non mi riferisco a quelle a cui manca il minimo indispensabile per garantire la dignità dei propri componenti, ma a tutte le altre, tutte quelle che hanno imparato che c’è sempre qualcosa da comprare e poco o nulla da imparare davvero che sia capace di dirti qualcosa quando avrai soddisfatto tutti i tuoi desideri o quando non sarai in grado di soddisfarne nemmeno uno, di darti la certezza incrollabile di essere un uomo e che nessuno dovrà provare anche solo a metterlo in discussione.

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Scrittrice, critica jazz, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano