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10 Marzo 2025

L’Occidente in Retromarcia: Il Nuovo Volto della Guerra contro le Donne

Negli ultimi decenni, il femminismo ha ottenuto conquiste cruciali, ma oggi l’Occidente sembra assistere a una pericolosa inversione di tendenza.

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Di Maddalena Celano

Negli ultimi decenni, il femminismo ha ottenuto conquiste cruciali, ma oggi l’Occidente sembra assistere a una pericolosa inversione di tendenza. Se da un lato la parità di genere è formalmente riconosciuta in molte costituzioni e legislazioni, dall’altro l’aumento della violenza misogina, la diffusione di movimenti antifemministi e la normalizzazione della mercificazione del corpo femminile segnalano un’inquietante regressione.

Femminicidi: una carneficina ignorata

I numeri parlano chiaro: la violenza contro le donne non solo non diminuisce, ma si intensifica. Secondo il rapporto EURES 2023, in Italia nel 2022 sono state uccise 126 donne, di cui 106 in ambito familiare o affettivo. In Europa occidentale, il tasso medio di femminicidio è di 0,4 vittime ogni 100.000 donne (Fonte: Eurostat 2023). A livello globale, secondo l’ONU, ogni ora vengono uccise 5 donne a causa di violenza di genere.

Eppure, mentre le donne vengono assassinate, si moltiplicano i movimenti che negano l’esistenza della violenza patriarcale. Il negazionismo della violenza di genere è diventato un’arma potente nelle mani di gruppi neomaschilisti e conservatori che, distorcendo dati e realtà, cercano di svuotare di significato le leggi a tutela delle vittime.

La manosfera: un arsenale digitale contro le donne

Internet ha dato vita a un nuovo fronte di guerra contro le donne: la “manosfera”, una galassia di gruppi online che spaziano dagli Incel (celibi involontari) ai Men’s Rights Activists (MRA), fino ai forum di suprematisti maschili. Secondo un rapporto del Center for Countering Digital Hate (CCDH), i contenuti misogini nella manosfera sono aumentati del 58% dal 2020 al 2023, con migliaia di video che promuovono la violenza contro le donne e la loro sottomissione.

I social media sono diventati un’arma nelle mani di questi gruppi. Le donne che si espongono pubblicamente, dalle giornaliste alle attiviste, subiscono una valanga di minacce di morte e stupro, con il preciso intento di ridurle al silenzio. Questo clima di terrore digitale rischia di erodere la partecipazione femminile alla vita pubblica, lasciando spazio a una narrazione dominata da chi vuole limitare la libertà delle donne.

La mercificazione del corpo femminile: un patriarcato travestito da libertà

Mentre i movimenti misogini guadagnano terreno, un altro fenomeno si diffonde sotto le mentite spoglie dell’emancipazione: la crescente normalizzazione dello sfruttamento del corpo femminile. Piattaforme come OnlyFans o i colossi della pornografia online si presentano come strumenti di autodeterminazione, ma dietro il marketing si nasconde la perpetuazione di un sistema patriarcale che riduce le donne a oggetti sessuali. Secondo il rapporto del Parlamento Europeo del 2023, l’80% dei contenuti pornografici online mostra forme di violenza contro le donne, normalizzandola e rendendola un prodotto di consumo.

Il finto femminismo neoliberale, che confonde la libertà con la sottomissione al mercato del desiderio maschile, finisce per rafforzare un meccanismo di dominio in cui la “scelta” di monetizzare il proprio corpo diventa, in realtà, l’unica opzione accessibile per molte donne in difficoltà economica.

Una guerra contro le donne

Ci troviamo di fronte a una reazione violenta e sistematica all’emancipazione femminile. Non è più solo una questione di conquista di nuovi diritti, ma di difesa di quelli già ottenuti. Il rischio di una regressione sociale e culturale è più concreto che mai: l’Occidente sta davvero tornando indietro sui diritti delle donne?

Se non agiamo ora, la risposta a questa domanda potrebbe essere tragicamente affermativa.

Per un nuovo femminismo radicale

Di fronte a questa offensiva reazionaria, il femminismo non può accontentarsi di riforme di facciata o compromessi con il neoliberismo patriarcale. Serve un ritorno al femminismo radicale, quello che non teme di nominare il patriarcato e di attaccarlo su ogni fronte. Dobbiamo ricostruire una coscienza collettiva di lotta, opporci al sistema che sfrutta e uccide le donne, smascherare i falsi alleati e riprenderci lo spazio pubblico senza paura.

Non c’è tempo per la prudenza: è ora di combattere.

Il dibattito femminista ha visto l’emergere di teorie e voci che hanno segnato in modo profondo la riflessione sulla condizione femminile, sia in Occidente che in altre parti del mondo. Diverse autrici e teoriche hanno contribuito a ridefinire il femminismo, spingendo oltre i confini delle tradizionali concezioni di genere e identità.

In Occidente, Simone de Beauvoir è una delle figure fondamentali, grazie alla sua opera Il secondo sesso, che ha posto le basi per una riflessione filosofica sulla condizione della donna. La celebre frase “non si nasce donne, lo si diventa” incarna la critica alla costruzione sociale del femminile, sostenendo che l’identità di genere non è un destino naturale, ma una condizione imposta dalla società. Un’altra voce cruciale è stata quella di Betty Friedan, con The Feminine Mystique, che ha denunciato la frustrazione delle donne americane negli anni Cinquanta, impegnate in una vita domestica che non corrispondeva ai loro desideri. Le sue parole hanno contribuito a portare alla luce una nuova consapevolezza sulle possibilità di libertà e scelta delle donne, diventando un punto di riferimento per la seconda ondata del femminismo.

Accanto a queste voci occidentali, è fondamentale considerare anche le riflessioni provenienti dal mondo arabo e islamico, che spesso sfidano l’idea che l’Islam sia incompatibile con l’emancipazione femminile. Fatima Mernissi, sociologa marocchina, ha proposto una lettura femminista del Corano, criticando l’uso selettivo delle scritture per giustificare il dominio patriarcale.

Tuttavia, nonostante i progressi, il cammino verso l’uguaglianza non è mai lineare e in molti contesti, anche in Occidente, le donne continuano a subire la pressione di forze politiche conservatrici. Il dibattito femminista, soprattutto in Italia, rischia talvolta di polarizzarsi, con posizioni ideologiche estreme che fanno fatica a rispondere alle vere necessità sociali e politiche delle donne. Le sfide concrete, come la violenza di genere, la disuguaglianza salariale e l’accesso ai diritti riproduttivi, sono spesso oscurate da discussioni che non si concentrano sulla realizzazione di soluzioni pratiche.

Un aspetto particolarmente problematico è l’approccio all’intersezionalità. Introducendo il concetto di intersezionalità, Kimberlé Crenshaw ha invitato a riconoscere le molteplici forme di oppressione, basate su fattori come razza, classe sociale, orientamento sessuale e disabilità. Tuttavia, in alcuni ambienti femministi occidentali, questo concetto è stato frainteso, trasformandolo in una “gara a chi è più oppresso”. Questo approccio rischia di frammentare il movimento, invece di promuovere una solidarietà che unisca le donne in una lotta comune per i diritti.

A livello globale, molte femministe latino-americane hanno sviluppato una visione che intreccia le questioni di genere con quelle di classe e razza. In Nicaragua, Cuba e Venezuela, il femminismo ha spesso incarnato una lotta contro le disuguaglianze sociali ed economiche, con un forte legame alla lotta di classe. In Nicaragua, le donne hanno avuto un ruolo fondamentale nella Rivoluzione Sandinista, e continuano a combattere contro le ingiustizie sociali. A Cuba, figure come Vilma Espín hanno guidato il movimento femminista nell’ambito della lotta rivoluzionaria, promuovendo i diritti delle donne in un contesto politico e sociale caratterizzato da sfide e critiche internazionali. In Venezuela, le Mujeres del Barrio hanno rappresentato un simbolo di resistenza contro il neoliberismo e l’imperialismo, intrecciando la lotta per i diritti delle donne con quella contro le ingiustizie sociali.

In parallelo, il femminismo islamico ha prodotto pensatrici e teologhe che hanno sfidato le interpretazioni patriarcali della religione, proponendo letture più inclusive e paritarie del Corano. Amina Wadud, ad esempio, ha guidato una preghiera mista, sfidando le tradizioni e dimostrando che una lettura egualitaria dell’Islam è possibile. Anche Asma Lamrabet, un’altra importante voce del femminismo islamico, ha proposto un’interpretazione del Corano che si fonda sul concetto di giustizia di genere, ribadendo che le discriminazioni non sono intrinseche alla religione, ma frutto di letture culturali patriarcali.

Queste voci, pur provenendo da tradizioni e contesti diversi, offrono una visione di un femminismo globale che non si ferma alle rivendicazioni individuali, ma che si intreccia con le lotte per l’emancipazione sociale, politica e culturale delle donne. Il femminismo, in tutte le sue sfumature, continua ad essere una forza potente per il cambiamento, capace di unire le donne di tutto il mondo in una lotta comune per l’uguaglianza e la giustizia.