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La visione terracentrista dell’Italia e l’eccezione Sinner

Perchè non ci sono più gli specializzati sulla terra rossa tra i primi della classifica atp? Perchè Sinner va bene nelle altre superfici? Analizziamo com’è cambiato il mondo del tennis negli ultimi anni e la situazione tennistica italiana

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DI FABRIZIO RESTA

credit foto: y.caradec

Dopo gli Open Australian Open, occhi puntati su Montecarlo. Fatta eccezione per Jannik Sinner, capace di far bene su tutte le superfici (per lui parlano le vittorie a Melbourne, Washington, Sofia e Anversa e una semifinale a Wimbledon) e in parte Matteo Berrettini, capace di arrivare alla finale di Wimbledon, il tennis italiano da sempre, si esprime meglio sulla terra rossa.
Non è un caso che prima di Sinner, le uniche vittorie azzurre in tornei del Grande Slam sono avvenute sulla terra rossa del Roland Garros. Nicola Pietrangeli li ha trionfato due volte (1959-1960) e una volta in doppio con Orlando Sirola (1959),Francesca Schiavone anche lei due volte (2010-2011) mentre Adriano Panatta una volta (1976). Infatti, l’eccezionalità di Sinner, non sta tanto nel vincere i tornei, quanto di essersi liberato dalla tradizione, che è al contempo maledizione, italiana sulla terra rossa. In un circuito dove la terra rossa conta sempre meno, l’essere terracentrico (mi perdoni Marcus Rediker se utilizzo i suoi concetti in malo modo) significa “volare basso” in classifica e al massimo sperare in un exploit occasionale, che comunque sarà breve. Questo, in effetti, è stato il tennis italiano per decenni. La differenza rispetto agli anni 70-80-90 è che molti tornei, che precedentemente erano svolti sulla terra battuta ora si svolgono su altre superfici, basti pensare alla “cementificazione” di Acapulco, mentre altri tornei sono stati cancellati, per fare posto a tornei sul cemento all’aperto. Dei 79 tornei disputati nel 2023, 41 sono sul cemento, 21 sulla terra e 8 sull’erba. Fra gli uomini, i punti in palio sono ripartiti nel modo seguente:

cemento: 40% dei punti
terra rossa: 30%
erba: 10%
indoor: 20%

Come si vede, il cemento si afferma in modo netto. Fra le donne, poi, il fenomeno è ancora più marcato:

cemento: 62% dei punti
terra rossa: 23%
erba: 11%
indoor: 4%

Una piccola parentesi la merita la falsa leggenda, ormai dilagante, che ormai le superfici sono tutte uguali. Secondo questa teoria, i campi in cemento sembrerebbero essere diventati più lenti, mentre quelli in terra rossa apparirebbero piu veloci. La velocità di un campo la si misura, tanto per fare un esempio, sul servizio: più un campo è veloce più i giocatori faranno ace e meno possibilità avranno di vincere i punti in ribattuta. Questo elemento si chiama ARA (Average Rate Ace) ma è un coefficiente alquanto ambiguo, sia perchè se i tennisti si allenano sul servizio, gli aces aumentano, senza che sia variata la velocità del campo, sia perchè la risposta al servizio, dipende anche dalle capacità di chi riceve. In ogni caso resta il coefficiente migliore che abbiamo e cerchiamo di spiegarlo meglio: la percentuale media di ace di ogni singolo giocatore in ogni torneo del circuito maggiore ATP è confrontata con quella della sua media pesata sui campi veloci (cemento ed erba) e su quelli lenti (terra battuta) rispettando grossomodo la distribuzione nel circuito (2/3 campi veloci, 1/3 terra). Insomma, se Federer fa di media un ace ogni 10 servizi (10 per cento) in una stagione e a Wimbledon due ogni 10 servizi (20 per cento) significa che la velocità del campo lo ha aiutato a servire meglio. In base a questo coefficiente, tra il 2018 e il 2019 l’ARA+ di Roma è rimasto stazionario a un valore di 0,69 mentre le Finals sono schizzate da 1,12 a 1,31. Ciò significa che le Finals nel 2019 sono state molto più veloci rispetto a Roma di quanto non lo fossero nel 2018. In definitiva il rapporto tra cemento e terra nei grandi tornei del calendario maschile è rimasto invariato.

Resta valido quindi il discorso che facevamo poc’anzi. Per spiegarlo meglio facciamo un esempio: se sei specializzato nella terra battuta, per cercare di fare più punti possibili, puoi puntare su uno Slam (Roland Garros), due Master 1000 (Madrid e Roma), tre Atp 500 e due di categoria inferiore. I punti in palio sono 6.500. Chi invece preferisce su altre superfici, puà puntare su ben 14 tornei, per un totale di 12.500. Non è un caso che i primi quattro della classifica ATP primeggiano sul duro-veloce. Se vuoi essere tra i primi del mondo, non devi essere terraiolo, nè un gigante dell’erba ma un tennista che vince dappertutto. Certo, non si può rendere al 100% dappertutto: Nadal per esempio faceva più fatica andando sull’erba, Federer sulla terra. Djokovic sembra un po’ meno alieno sulla terra rossa. Tuttavia, i numeri dicono che se sei forte nell’ indoor, erba e cemento, puoi anche non disperarti se non sei fortissimo sulla terra e restare tranquillamente tra i primi del mondo.

Se il cemento fa la parte del leone è evidente che in tutto il mondo si tenda a garantire la presenza di campi da tennis sul cemento. In Italia, fino al 2013, il 90% dei campi da tennis erano in terra battuta. La terraiolissima Spagna ha organizzato nel 2008 8 tornei challenger e ben 42 futures. Di questi 50 eventi, se ne sono giocati ben 15 (3 challenger e 12 futures) su superfici veloci. Fa quasi il 30% del totale. Oltre il doppio che da noi. Ora le cose stanno cambiando ma ci vorrà del tempo per vedere i primi risultati. Sinner è diverso perchè non si è allenato solo in Italia e questo non fa altro che aumentare il rammarico, perchè probabilmente se in Italia non ci fosse stata per decenni questa visione terracentrica, probabilmente non avremmo dovuto aspettare il 2023 per vedere un italiano stabilmente tra i primi 10 del mondo. Saremo capaci di incamminarci verso il futuro, o ancora una volta ci rifugeremo nel passato? Sinner resterà una meteora o sarà il primo di una nuova generazione di tennisti italiani? Lo sapremo solo col tempo

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Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo