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Editoriale

Donne sempre più dimenticate

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Credit foto https://erasmusu.com/it/blog-erasmus/generale/festa-della-donna-cosa-si-celebra-l8-marzo-795457

di Lavinia Orlando

All’indomani dell’otto marzo, “Giornata internazionale della donna”, giova ancora rammentare, purtroppo e come ogni anno, quanto poco ci sia da festeggiare. Gli auguri, le mimose, le feste a tema, dovrebbe essere tutto bandito perché l’essere donna continua a portare con sé troppe difficoltà, soprattutto nel nostro Paese. 

L’Italia, sfortunatamente, non è la Francia che, proprio qualche giorno prima della ricorrenza sopra ricordata, ha riconosciuto il diritto all’aborto in Costituzione.  “La legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di far ricorso ad un’interruzione volontaria della gravidanza” recita la nuova formulazione della Carta fondamentale d’oltralpe, che ha così raggiunto due fondamentali obiettivi. Il primo, formale, si riassume nel maggiore aggravio procedurale a cui il Parlamento dovrebbe sottostare nel caso in cui si decidesse di eliminare tale principio dalla Costituzione. Il secondo, sostanziale, consente all’aborto di essere annoverato tra le libertà fondamentali riconosciute dallo Stato come base identificativa dello stesso e, per ciò solo, difficilmente abrogabile.

Se la moderata Francia, governata da un Presidente che tutto è tranne che di sinistra, è giunta a tanto, in alcune Regioni italiane, al contrario, risulta impossibile abortire, costringendo la donna che voglia interrompere la gravidanza all’ignobile scelta tra il recarsi a centinaia di chilometri di distanza o il rinunciare all’esercizio del diritto.

L’aborto, tuttavia, non è che uno degli innumerevoli esempi del c.d. gender gap, ossia del divario esistente tra donne e uomini, soprattutto nel nostro Paese. Tasso di occupazione più basso, stereotipi, pregiudizi, diritti negati, violenza, le fattispecie sono innumerevoli e spaziano dall’ambito familiare a quello lavorativo.

A chi replica evidenziando la funzione di garanzia e di impulso generati sulla tematica dalla presenza di una Presidente del Consiglio finalmente donna, non può che rispondersi che il genere della Premier non rileva finché quest’ultima non si faccia promotrice di politiche differenti rispetto a quanto mostrato finora.

Dal taglio dei fondi per la prevenzione della violenza contro le donne alle misure a favore delle madri, che abbiano, però, almeno due figli – come, ad esempio, il bonus asilo nido e la decontribuzione – l’idea che Giorgia Meloni ha della donna è chiaramente esplicata in una sua oramai celebre esternazione.

“Il concetto che noi vogliamo stabilire è che una donna che mette al mondo almeno due figli, in una realtà in cui abbiamo disperato bisogno di invertire i dati sulla demografia, ha già offerto un importante contributo alla società”. Questo è quanto affermava Meloni ad ottobre dello scorso anno, in occasione della presentazione della Manovra di bilancio 2024.

Una donna che vale solo in quanto madre, soprattutto se di un numero di figli maggiore di uno, rappresenta una visione alquanto limitata del sesso femminile, oltre che altamente discriminatoria nei confronti di chi non vuole figli e di chi non può averne.

Posto che chi governa con Meloni non sembra avere differenti vedute, non paiono prospettarsi importanti cambi di passo al riguardo. Rassegniamoci ad altri tempi grigi, almeno a livello legislativo-decisionale, e cerchiamo di agire sull’unico piano su cui è dato operare liberamente, almeno fino ad ora. Quello culturale.

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