Editoriale
Non solo agricoltura
Le proteste degli agricoltori di questi giorni sono significative, non solo e non tanto per le giuste – in parte – istanze rivendicate. La crisi del settore, legata essenzialmente alla bassa remunerazione del prodotto, è poco visibile agli occhi di un consumatore finale che si trova a pagare frutta e verdura a costi molto alti e, così, ad incorrere nell’errore che il guadagno sia tutto nel portafogli dei produttori.
di Lavinia Orlando
Le proteste degli agricoltori di questi giorni sono significative, non solo e non tanto per le giuste – in parte – istanze rivendicate. La crisi del settore, legata essenzialmente alla bassa remunerazione del prodotto, è poco visibile agli occhi di un consumatore finale che si trova a pagare frutta e verdura a costi molto alti e, così, ad incorrere nell’errore che il guadagno sia tutto nel portafogli dei produttori. Niente di più falso, posto che sono i passaggi intermedi a generare prezzi alti, con totale assenza di profitti in favore dei produttori, che hanno, anzi, difficoltà a rientrare nei costi.
Bene hanno fatto, dunque, i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli a scendere lungo le strade ed urlare il proprio disagio. Peccato che il governo abbia tenuto conto delle rimostranze dal lato sbagliato. I passi indietro governativi hanno riguardato in primis il “green deal europeo”, ai cui era legata, tra l’altro, la riduzione dei fitofarmaci, che sarebbe uno dei punti fondamentali al fine di attuare la c.d transizione ecologica di cui tanto si parla ma i cui costi non vorrebbero essere sostenuti da nessuno.
Sono stati sufficienti pochi giorni di proteste – neanche così tanto marcate – per fare passi indietro di svariati anni nell’ottica di un’Europa più sostenibile, meno inquinata e più salutare – e che non ci si continui a meravigliare, d’ora in poi, dell’incremento esponenziale delle patologie oncologiche. Invece che incentivare chi produce in modo sano e senza sfruttamento del lavoro, favorendo la ricerca nel settore, agendo sui costi di gestione e sulla filiera produttiva che lascia a bocca asciutta i produttori, il governo Meloni ha incontrato le principali sigle datoriali dell’agricoltura italiana per rivendicare i passi indietro sulle politiche europee, promettere maggiori risorse in ausilio del settore e la reintroduzione dell’esenzione IRPEF sui redditi agricoli e dominicali che non superino i diecimila euro – che potrebbe tramutarsi in totale esenzione nel caso in cui i continui mal di pancia leghisti dovessero essere ascoltati.
Da un esecutivo di destra non c’era da aspettarsi nulla di diverso. Politiche innovative ed attente al combinato disposto della tutela del lavoro, della salute e dell’ambiente, con un’ottica che superi il breve periodo, non hanno mai fatto parte del modus operandi degli schieramenti conservatori e non sembra che la maggioranza targata Meloni possa mutare il tiro.
Al netto del merito delle risposte governative, giova comunque porre l’accento sulla capacità della categoria di accendere i riflettori sulle proprie problematiche, in maniera apparentemente compatta e riuscendo ad ottenere ascolto ed un seppur minimo risultato. E la circostanza che il mondo agricolo sia da sempre vicino agli ambienti della destra non può essere l’unica spiegazione.
Che sia il timore di affrontare pericolosi blocchi stradali o la matrice europea delle istanze, che le rende comuni ad i produttori di tutto il continente, il mondo agricolo ha ottenuto il basilare risultato di farsi sentire. Obiettivo del tutto inarrivabile per le altre proteste, riguardanti il mondo del lavoro, in corso o al momento solo potenziali, che non prendono neanche avvio, temendo risultati del tutto assenti.
Uno o più tentativi, tuttavia, andrebbero fatti. Posto che l’Italia sarebbe piena di istanze valevoli di proteste almeno pari a quanto in atto da parte degli agricoltori, non sarebbe male prendere ad esempio quanto sta accadendo in questi giorni e provare a fare sentire le proprie ragioni con l’auspicio, quantomeno, di essere ascoltati.
Diversamente, la speranza che qualcosa cambi non può che essere definitivamente abbandonata.
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