Editoriale
Prigione ungherese
di Lavinia Orlando
Il dono del silenzio, è circostanza nota, non è caratteristica tipica dei politici. Tra di essi, tuttavia, c’è chi è in grado di contenersi e chi, al contrario, non conosce limiti, finendo per rendere deleterio qualsivoglia intervento si spererebbe essere proficuo.
Così, dopo mesi di piacevole silenzio, Matteo Salvini, Gran visir della categoria “faccio politica ergo parlo”, è ritornato a fare ciò che più gli pare congeniale: vaneggiare.
Le immagini di Ilaria Salis, condotta in tribunale a catena con mani e piedi ammanettati, detenuta in carcere a Budapest da quasi un anno in condizioni per nulla dignitose, con l’accusa di aver partecipato nella capitale magiara all’aggressione di due neonazisti, hanno scioccato tutti.
Tranne il nostro Vicepremier leghista, che ha tenuto bene a chiarire il suo pensiero sulla vicenda, così non perdendo l’occasione di tacere – oltre che di essere destinatario di probabili querele dalla stessa Salis. Insieme ai suoi fedeli sodali, ha quasi voluto giustificare i trattamenti disumani subiti dalla nostra concittadina in Ungheria, la cui colpa originaria sarebbe tutta, sempre a detta dei leghisti, nell’aver preso parte, in Italia, a manifestazioni violente e ad un assalto ad un gazebo leghista nel 2017 – accuse da cui Salis è stata assolta.
Non contento di ciò, il nostro Vicepremier ha precisato che non sarebbe felice nel caso in cui Salis, che nella vita è insegnante di scuola primaria, fosse docente di sua figlia, così entrando nella sfera privata di una cittadina già scagionata da qualsivoglia accusa ed allo stato ancora innocente con riferimento ai fatti accaduti in Ungheria, stante il principio garantistico che caratterizza i sistemi giudiziari occidentali.
Un ulteriore atteggiamento ha, tuttavia, destato seri dubbi. Ci si riferisce alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha optato per la strada del silenzio tombale. Che tale scelta sia legata al rapporto stretto che lega Meloni al Primo Ministro ungherese Viktor Orbán resta la spiegazione più plausibile a fronte di un mutismo a cui Meloni non ci aveva minimamente abituati.
Lo sgomento, tuttavia, si amplifica anche in relazione alla non reazione della civilissima Europa rispetto al trattamento che l’Ungheria, Stato aderente all’Unione Europea, riserva ai suoi detenuti. Trattasi di un atteggiamento sonnolento che, col senno di poi, ha trovato chiara spiegazione alla luce dell’accordo raggiunto in sede europea al fine di sbloccare la revisione del bilancio pluriennale. Si partiva da un fermo veto posto dal Presidente Orbán sui 50 miliardi di euro di aiuti per l’Ucraina. Si è ora giunti al pieno accordo, con l’Ungheria che ha ceduto sul punto appena visto, ottenendo, in cambio, lo sblocco di 21 miliardi di euro di fondi europei ad essa destinati, fermi a causa delle violazioni allo stato di diritto di cui è stata accusata Budapest.
E se a ciò si aggiunga il fatto che Giorgia Meloni abbia avuto un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell’intesa, il cerchio, circa gli imbarazzanti silenzi appena visti, si chiude alla perfezione.
Se è vero che lo stato delle carceri è la cartina tornasole del grado di civiltà del Paese, l’Italia stessa avrebbe molti punti da perdere, soprattutto considerando il sovraffollamento che caratterizza i nostri istituti e le diverse vicende violente avvenute dietro le sbarre. Ciò non implica che l’Italia e chi la governa non debbano adirarsi ed attivarsi al fine di assicurare che una nostra concittadina venga trattata secondo i minimi basilari della civiltà giuridica, indipendentemente da capi di accusa e convincimenti politici dell’imputato, oltre che adoperarsi al fine di uniformare i principi che regolano i sistemi giudiziari, uniformità in assenza della quale verrebbe meno il senso stesso dell’Unione Europea.
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