Mettiti in comunicazione con noi

Editoriale

Carceri, la società è la vera colpevole

Il diciannovesimo rapporto dell’associazione Antigone Onlus conferma la drammatica tendenza del pessimo stato delle carceri italiane. Nello specifico, manca totalmente un sistema si adi rieducazione sia di reintegrazione una volta scontata la pena.

Avatar photo

Pubblicato

su

Credit foto Pixabay, immagine di dominio pubblico

di Alessandro Andrea Argeri

Sovraffollamento, suicidi, attese di giudizio, minori dietro le sbarre sebbene dovrebbero essere in case-famiglia, tossicodipendenti lasciati soli in cella quando dovrebbero essere in una comunità. Allo stato attuale gli istituti penitenziari italiani non sono idonei a svolgere la propria funzione. Nello specifico, manca un sistema sia di rieducazione all’interno sia di reinserimento verso il mondo esterno. A confermare il pessimo stato delle nostre carceri è stato ancora un volta il rapporto, il diciannovesimo, dell’associazione Antigone Onlus, da oltre quarant’anni attiva nel campo della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario. Ogni anno la situazione rimane all’incirca la stessa.

Gli anni di galera possono diventare una tortura, oppure un’occasione per migliorare l’individuo affinché una volta scontata la pena si mantenga lontano dal crimine, dunque non torni a delinquere. Certamente il carcere non dev’essere un resort, altrimenti non ci finirebbero i criminali, ma nemmeno il limbo dantesco, un luogo di stallo eterno, lontano dalla realtà, situato tra il Purgatorio e l’Inferno. Come si legge dal rapporto, solo un carcerato su tre lavora, meno di uno su tre studia, appena il 4% dei detenuti ha accesso alla formazione professionale. Dunque durante il periodo di detenzione non si studia, non si lavora, si perde tempo in attesa di tornare alla vita di prima, pronta ad essere vissuta con una mente peggiore.

I suicidi sono stati 85, il numero più alto dal 1990. Di queste 85 persone, 50 si sono tolte la vita nei primi sei mesi di detenzione, 21 nei primi tre giorni, 16 nei primi dieci giorni, 10 nelle prime 24 ore. In 28 casi c’era già stato un tentativo di suicidio mentre 68 erano stati coinvolti in altri eventi critici. Comparato col tasso di suicidi di chi si trova in libertà, quello delle carceri è ventidue volte superiore. Ma non si tolgono la vita solo i detenuti, bensì anche i componenti del personale penitenziario, il quali subiscono il condizionamento piscologico del pessimo ambiente in cui si trovano a lavorare.

Il problema del pessimo stato del sistema carcerario italiano riguarda tutti noi: se una volta scontata la pena il detenuto esce dalla prigione più incattivito di prima, incapace di reinserirsi nel tessuto sociale perché non è stato rieducato né ha acquisito le giuste competenze, alla prima occasione tornerà a darsi al crimine, dunque è come se avessimo per le strade delle bombe pronte ad esplodere appena uscite dalla fabbrica. In un Paese occidentale un rapporto come quello di Antigone dovrebbe inorridire l’opinione pubblica, eppure il dibattito mediatico non riserva spazio a un tema su cui invece noi abbiamo scritto più volte, in controtendenza con la maggior parte della stampa. D’altronde questa è una questione di civiltà in quanto la salute di una democrazia si mantiene nelle carceri, dove i detenuti non votano.

Articoli correlati:

Tra vendetta pubblica e condizioni disumane, il collasso delle carceri italiane

Nel teatro tutto è trasformazione: usiamolo per trasformare i detenuti

Il paradosso dei minori in carcere: quando la scelta è tra la mamma e la libertà

Violenza di Stato

RIPRODUZIONE RISERVATA ©

Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).