Politica
IL RISCHIO DI AVVENTURE
Sia alla Camera con 161 membri che al Senato con 75 il Movimento 5 Stelle è ancora il primo gruppo parlamentare, malgrado abbandoni ed espulsioni. Il M5S aveva eletto il 4 marzo 2018 227 deputati e 111 senatori. Con la rottura Grillo/Conte potrebbe non esserlo non esserlo più, con effetti importanti sugli equilibri del nostro sistema politico, già fragile e instabile.
Di Felice Besostri
Sia alla Camera con 161 membri che al Senato con 75 il Movimento 5 Stelle è ancora il primo gruppo parlamentare, malgrado abbandoni ed espulsioni. Il M5S aveva eletto il 4 marzo 2018 227 deputati e 111 senatori. Con la rottura Grillo/Conte potrebbe non esserlo non esserlo più, con effetti importanti sugli equilibri del nostro sistema politico, già fragile e instabile.
Non perché il primato potrebbe passare alla Lega, che è seconda con 132 deputati e 64 senatori o perché potrebbe venir meno la maggioranza bulgara, nel senso antico di questa espressione, del Governo Draghi, ma perché si riflette sulla composizione della futura maggioranza presidenziale, di cui i 5 Stelle uniti sarebbero stati uno dei soggetti determinanti.
Se come preannunciato Il Presidente Mattarella rimanesse sordo, a ragion veduta, ad ogni appello di assicurare un reincarico a termine, la scelta del prossimo Presidente sarà il fatto politico più importante di questa legislatura. Non c’è spazio per soluzioni furbe, se Mattarella non è sostituibile lo si rielegga, se la rielezione per 7 anni è eccessiva, si metta fine in Costituzione all’equivoco, presentando un progetto di revisione costituzionale dell’art. 85, che sancisca la non rieleggibilità del Presidente e contestualmente abroghi, come già auspicato da Segni il semestre bianco, cioè la sospensione del potere di scioglimento ex art. 88 Cost. negli ultimi sei mesi di mandato.
Mattarella, è il 12° Presidente della Repubblica italiana, per combinazione nel 2022, a febbraio, scade anche il 12° Presidente della Repubblica Federale tedesca Frank-Walter Steinmeier, che ha già dichiarato che intende chiedere la riconferma per un altro quinquennio, un fatto senza precedenti in quel paese, benché la rielezione sia prevista dall’art. 54 GG.
Con l’uscita della Gran Bretagna, dei grandi paesi dell’UE sono rimasti soltanto tre dei 6 fondatori: Francia, Germania e Italia, con sistemi politici ed elettorali molto diversi, tutti alla ricerca di un equilibrio sostitutivo di quello messo in crisi dagli elettori. In Francia la tradizionale alternanza Gauche/Droite, rappresentata rispettivamente da socialisti e gollisti sia stata messa in crisi in due elezioni presidenziali, che hanno escluso la sinistra, per sua sola responsabilità (7 candidati!) almeno la prima volta nel 2002, dal ballottaggio. Con le recenti elezioni regionali (7%), il grande vincitore delle presidenziali (66,10%) e legislative (49,12%) 2017, è stato ridimensionato: sinteticamente da Macron a micron. In Germania la Grosse Koalition Union-Spd non ha la maggioranza e non è sostituibile da un’alleanza rosso-verde ovvero da una coalizione CDU-CSU più AfD.
Nei governi dei 16 Länder, ci sono state tutte le combinazioni possibili da un governo SPD, VERDI e FDP a CDU-VERDI, l’unica combinazione assente è quella, che comprenda CDU e Linke. La prima prova elettorale dei nuovi equilibri europei è l’elezione tedesca del Bundestag del 26 settembre 2021, contestuali a quelle di Berlino, Meklenburg-Vorpommern e Turingia, l’unico Land con un Presidente della Linke, un governo di minoranza dopo la rinuncia del Presidente CDU, grazie ai voti determinanti della AfD.
Un esempio in più del fatto, che, quale sia il sistema elettorale se destra ed estrema destra si coalizzano, la sinistra è minoranza, anche in storici bastioni della socialdemocrazia scandinava come la Svezia e la Norvegia.
La nomina del 13° presidente tedesco ed italiano entro il Febbraio 2022 sarà un altro segnale politico, anche se non sono elezioni dirette, ma di un’assemblea di parlamentari e delegati regionali. Tra aprile e maggio 2022 presidenziali e legislative, sempre che non ci siano, anche le elezioni anticipate rispetto alla scadenza naturale del marzo 2023 in Italia, con il Parlamento tagliato del 36,50% e con una legge elettorale di sospetta costituzionalità.
Il Parlamento italiano non ha la centralità che la nostra Costituzione gli assegna ed i rinnovi del 2006, 2008 e 2013 con una legge ufficialmente dichiarata incostituzionale con la storica sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale non ne hanno aumentato il prestigio e l’autorevolezza, perché grazie alle liste integralmente bloccate è un Parlamento di nominati e non di eletti, che in diverse occasioni non ha dato la prova, che i suoi membri rappresentassero la Nazione, come prevede l’art. 67 Cost., men che meno con la “disciplina ed onore”, pretesi dall’art. 54 Cost.
La legge elettorale vigente non consente nemmeno di scegliere liberamente i candidati dei collegi uninominali maggioritari, pari ai tre ottavi dei seggi, perché il voto deve essere congiunto a quello di lista a
pena di nullità, anche in caso di coalizioni, che non debbono nemmeno avere un programma comune: un trucco per premiare, in violazione dell’art. 48 Cost. sull’uguaglianza di voto, le liste coalizzate, rispetto alle liste non coalizzate. Al posto di un voto libero e personale la legge impone il voto utile, che ha deformato la rappresentanza proporzionale, che pure avrebbe dovuto essere prevalente, perché vieta il voto disgiunto, cioè per il candidato uninominale con maggiore possibilità di riuscita e la lista rappresentativa del proprio progetto politico.
Una nuova legge elettorale era il primo dovere di un Parlamento per ritrovare, con la legittimazione politica, la sua centralità. Il secondo segnale avrebbe dovuto essere la rivendicazione che spetta al Parlamento in seduta comune, con l’integrazione di 58 delegati regionali, la scelta del Presidente della Repubblica imponendo un minimo di trasparenza con la previsione di candidature riservate ad ogni componente dell’assemblea, prima di ogni votazione. L’alternativa è di aspettare il pizzino con il nome da votare o di far sapere che si è pronti per assecondare lobby e gruppi di pressione e di interessi o addirittura di singoli candidati. Le due formazioni parlamentari di Conte e di Grillo non potranno avere gli stessi obiettivi: è la logica implacabile delle scissioni, anche a costo di contraddirsi. Italia Viva e PD ne sono un esempio, senza Renzi il Conte II non sarebbe nato, ma ne ha, anche, decretato la fine anticipata. Grillo e Conte hanno portato il M5S nella maggioranza Draghi, che non corre rischi, ma potranno più facilmente far parte della stessa maggioranza di Governo, che della stessa maggioranza presidenziale.
La maggioranza presidenziale sarà anche portatrice di progetti di revisione costituzionale tra loro alternativi, perché la tentazione di un sistema presidenziale o di premierato si è rafforzata, malgrado il fallimento della governabilità ad ogni costo, sacrificando la rappresentanza: una ragione in più per rendere trasparente la procedura per l’elezione del Presidente.
Milano 1 luglio 2021