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Politica

Solo applausi per i migliori

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di Lavinia Orlando

Alzi la mano chi è in grado di individuare i tanto declamati scintillii che avrebbe finora prodotto l’esecutivo dei migliori, degli eletti, degli eccellenti, dei competenti e dei tanti altri aggettivi di analoga portata quotidianamente riconosciuti a Mario Draghi ed alla sua compagine.

Dovrebbe trattarsi di un compito di facilissima realizzazione, almeno stando alla genesi dell’attuale esecutivo: si rammenti la gioia, con tanto di occhi luccicanti e sorrisi delle grandi occasioni, espressa dal gotha di Confindustria, delle varie oligarchie e del giornalismo italiani, all’indomani della fine dell’esperienza del “Conte secondo” e dell’indicazione di Mario Draghi quale Primo Ministro in pectore. A tacere delle forze politiche che, quasi all’unisono, facevano a gara per tessere le lodi di quello che sarebbe diventato il nuovo Presidente del Consiglio, senza contare chi è ora all’opposizione, anch’esso colto dalla strana ed improvvisa sindrome del “Non lo sosteniamo, ma Mario Draghi sarà la panacea di tutti i mali”.

Alla luce di cotanta sovrabbondanza di elogi, era lecito attendersi che il nostro Paese sarebbe stato il terreno della rivoluzione delle rivoluzioni: niente più ritardi, disorganizzazione e furbetti, una Pubblica Amministrazione trasformata nel regno dell’informatizzazione e dell’efficienza, una giustizia in grado di essere rapida e smart, la pandemia governata e vinta come nulla fosse e via dicendo, con aspettative che, se realizzate anche solo per il 30%, risulterebbero giusta causa per l’avvio del processo di beatificazione dei fautori di tali risultati.

Ad iniziare da colui che si è assunto il merito dell’ascesa al governo di Mario Draghi. L’ex Presidente della Provincia di Firenze, ex Sindaco di Firenze, ex Segretario del Pd, ex Primo Ministro, Matteo Renzi, ora Senatore della Repubblica, ma, in realtà, da diversi mesi maggiormente interessato ad intrattenere rapporti con alte personalità mediorientali, è stato in grado di logorare e distruggere l’esecutivo capitanato da Giuseppe Conte, peraltro adducendo motivazioni che si sono rivelate chiaramente pretestuose – una fra tutte, il famigerato MES che, dal giorno successivo alla nascita dell’attuale governo, è misteriosamente scomparso dai radar di Renzi e dei renziani, quando, fino al momento immediatamente precedente, era una delle più importanti ragioni di conflitto col governo Conte due.

Pare fuori di dubbio che si sia trattato di una quantomeno sgarbata sostituzione dell’esecutivo indubbiamente più di sinistra – o meno di destra, a seconda di come la si voglia intendere – targato Movimento Cinque Stelle, Pd e Leu. Beninteso, Italia Viva viene volutamente esclusa dall’elencazione, visto che ha agito in contrasto con tale maggioranza sin dal momento successivo alla nascita del governo, con la deliberata volontà di rendere più difficoltosa un’alleanza sin da subito invisa a chi in Italia ha sempre gestito poteri e soldi e che anche solo per questa ragione avrebbe dovuto raccogliere le simpatie o, perlomeno, un minimo di credito, da parte di chi abbraccia i valori della solidarietà, dell’uguaglianza e dello stato sociale. 

Peccato che tutta questa distruzione non sia servita a raggiungere i risultati stravolgenti di cui sopra, nonostante l’informazione a reti quasi unificate narri l’esatto contrario: riorganizzazione e velocizzazione della campagna vaccinale, riapertura del Paese e ripresa delle ordinarie attività, Recovery Plan da capogiro e consegnato ai competenti organi UE nei termini previsti, sarebbero solo alcuni tra i fiori all’occhiello dell’esecutivo dei migliori, indicati quali fautori, in così pochi mesi, di un autentico cambio di passo.

Qualcuno, tuttavia, dovrebbe rammentare ai tanti innamorati a scatola chiusa che, nell’ordine, la campagna vaccinale continua ad essere strettamente connessa al numero di sieri che giungono nel nostro Paese, circostanza indipendente dall’esecutivo in carica; che, a seconda della Regione che si prende in considerazione, mutano le percentuali di vaccinati per fasce d’età e per categorie di rischio, non essendo ancora stata raggiunta quell’uniformità tanto decantata in primis dall’attuale Primo Ministro; che le riaperture sono il frutto di un “rischio ragionato” – così come definito da Draghi – figlio, tra le altre considerazioni, dell’arrivo del caldo e dell’incremento della popolazione vaccinata, entrambe variabili del tutto indipendenti dal pur onnipotente volere del governo dei migliori; che il Recovery Plan – non un semplice  provvedimento da quattro soldi, ma l’insieme di riforme ed investimenti epocali che furono la vera ragione della caduta dell’esecutivo Conte – è stato discusso e licenziato dal Parlamento in pochissimi giorni, senza che nessuno, a parte una sempre più silenziosa Meloni ed un troppo isolato Fratoianni, lamentasse alcunché.

Ciò che in costanza del precedente governo sarebbe stato rappresentato come antidemocratico, è ora del tutto ordinario e non fa altro che incrementare dubbi – peraltro già ampiamente presenti – circa il livello di indipendenza dell’informazione italiana e la coerenza della politica, entrambe le quali dovrebbero iniziare ad intervallare gli stucchevoli applausi con un’analisi più approfondita delle questioni in essere.