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Editoriale

La condizione kafkiana di chi da medico, giornalista, volontario ci racconta Gaza

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Credit foto ilfattoquotidiano.it

Di Rosamaria Fumarola

La domanda sul ruolo che i cittadini degli stati più fortunati del mondo svolgono nell’ influenzare le decisioni dei rispettivi governi su questioni rilevanti dal punto di vista ad esempio del rispetto dei diritti umani propri o altrui, nella realtà globalizzata che viviamo ha certamente senso, ma trova risposte il più delle volte deludenti. Inerzia e disinformazione, abdicazione all’ esercizio dei propri diritti fanno della gran parte dei votanti esseri umani dediti alla cura del proprio orticello, convinti di non poter incidere più di tanto su questioni importanti. Questo ripiegamento sul privato dopo gli anni della partecipazione alle grandi battaglie dei decenni precedenti, trovò espressione a partire dagli anni ottanta del secolo scorso e portò ad un recupero nemmeno tanto lento della condizione di sudditanza che ha sempre caratterizzato le masse nella storia. Rispetto alla condanna del genocidio in atto nei confronti del popolo palestinese da parte di Israele, non può dirsi che raccolga un’adesione generalizzata e di massa. Esiste poi una minoranza attiva che intende la propria appartenenza al genere umano come partecipazione e che si mobilità concretamente, assumendo su di sé ogni rischio, anche quello della morte, per sostenere chi in qualsiasi parte del mondo sia vittima di ingiustizia. È il popolo dei volontari, medici, giornalisti, attivisti etc. che interpretano la propria esistenza come risposta a bisogni non necessariamente propri. Combattono lontano da casa raccontando ciò che i governi preferirebbero fosse celato. Di recente molti sono stati e sono ospiti dei programmi di approfondimento politico. Della loro condizione nessuno però parla. Certo, se sono vittime di attentati deliberati, a Gaza sempre meno casuali, se ne ha notizia, ma in realtà nessuno si interroga su quelli che sono i convincimenti che ne abitano le giornate, su cosa abbiano provato e provino nel raccontare una realtà fatta di orrore, trovandosi davanti a spettatori, la massa a cui sopra facevo cenno, che non credono o che sono indifferenti alle loro narrazioni. A quale cittadinanza sente di aderire un medico di Emergency? Di cosa sente di essere parte? Da quali diritti si sente tutelato? È questo un popolo che prescinde il più delle volte dalla protezione istituzionalizzata, dall’ applicazione delle leggi, che sembra parlare come un folle di Napoleone e che di fronte alla negazione di evidenze di cui è testimone, vive in una sorta di segregazione non dissimile da quella dei manicomi, nati un tempo per accogliere non solo la i malati di mente, ma tutte le categorie devianti da una verità imposta dal potere. Questi volontari credono ancora nella civiltà, nella storia studiata sui libri di scuola? Credono in una interpretazione teleologica che vede il bene prevalere sempre sul male? Insomma noi e loro crediamo ancora nelle stesse cose? Io sento di appartenere ad un paese con molti limiti, ma la mia condizione è definita dalle leggi e dalla loro applicazione. Non è peraltro escluso che in Italia a funzionare siano spesso proprio i limiti, meglio e più rapidamente dei codici. Certo si può restare giorni interi sulla branda di un pronto soccorso in attesa di cure ed uscirne da morti dopo aver chiesto per giorni interi un bicchiere d’acqua, o essere legati ad un letto perché si è troppo vecchi e non ci sono abbastanza infermieri per accompagnarti a fare i tuoi bisogni. A pensarci bene anche nella civile Italia la barbarie spesso vince e sempre sui più deboli e tutto lascia pensare che la situazione non possa che peggiorare, ma la condizione del popolo palestinese sguarnito di qualsivoglia forma di protezione ed esposto alla irrefrenabile brutalità di Netanyahu è altra cosa. Tutto ciò mi fa venire in mente la storia di quella fotografa che ritrasse i campi di sterminio nazista e che in preda allo shock decise di non pubblicare le immagini perché convinta che non sarebbe stata creduta. La storia ha poi deciso di crederle, ma solo quando ha fatto comodo a tutti.

Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, blogger, podcaster, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano