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Cina ecologica: il primo Codice Ambientale e la costruzione di un futuro verde tra pianificazione e sovranità

Il Codice Ambientale cinese non è solo una legge: è un progetto di civiltà

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Di Marlene Madalena Pozzan Foschiera

In un mondo segnato dalla crisi climatica, dalle guerre per le risorse e da un modello economico predatorio, la Cina lancia il suo primo Codice Ambientale — una pietra miliare che consolida decenni di politiche ecologiche e proietta il Paese come attore centrale nella governance climatica globale. Diffuso dall’agenzia Xinhua domenica scorsa (27) e presentato al Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo (ANP), il progetto legislativo — con i suoi 1.188 articoli — riorganizza e rafforza l’ampio quadro normativo ambientale del Paese, mentre sfida la logica estrattivista dominante in Occidente.

1979–2025: un percorso di contraddizioni e progressi

La Cina non ha aspettato il XXI secolo per agire. Già nel 1979, in piena fase di apertura economica, approvò la sua prima Legge di Protezione Ambientale — un atto coraggioso in un contesto globale dominato dalla regola del “sviluppo a ogni costo”. Da allora, sono state adottate oltre 30 leggi e più di 100 regolamenti ambientali, che oggi trovano coerenza e direzione nel nuovo Codice.

I risultati sono tangibili:

  • Nel 2024, la Cina ha piantato 4,45 milioni di ettari di alberi, mantenendo una media costante di riforestazione. Il Paese ospita circa 142,6 miliardi di alberi — circa 100 per abitante.
  • La qualità dell’aria nelle città è migliorata, nonostante la crescita industriale.
  • Il progetto della “Grande Muraglia Verde”, in corso da decenni, ha trasformato vaste aree desertiche del nord in zone verdi, riducendo la desertificazione e sequestrando carbonio.

Tuttavia, come ha ammesso Shen Chunyao, direttore della Commissione per gli Affari Legislativi dell’ANP, la costruzione di una “Cina Bella” — in armonia con la natura — richiede sforzi continui. Il Paese dipende ancora dai combustibili fossili e affronta sfide persistenti come l’inquinamento industriale e la necessità di una profonda trasformazione culturale.

Il Codice Ambientale: integrazione, sovranità e una sfida all’Occidente

Il nuovo Codice non è solo una raccolta di leggi. Esso articola prevenzione dell’inquinamento, responsabilità legale, sviluppo verde e basse emissioni di carbonio in un’unica struttura, proponendo una visione integrata ed ecosistemica.

Tra i punti salienti:

  • Un capitolo dedicato allo sviluppo verde — una novità elogiata da esperti come la professoressa Lyu Zhongmei.
  • Protezione paritaria per foreste, deserti, mari e terre agricole, superando la frammentazione tecnocratica tipica del diritto ambientale occidentale.
  • Incentivi chiari all’economia a basse emissioni di carbonio, in linea con gli obiettivi nazionali di neutralità climatica.

Nel frattempo, l’Occidente arretra: gli Stati Uniti smantellano regolamenti sotto la pressione delle lobby industriali; l’Europa allenta gli impegni ambientali per sostenere l’industria bellica e riattivare le centrali a carbone. La Cina, invece, si posiziona come potenza climatica, integrando crescita economica e tutela ambientale — una risposta concreta al fallimento del neoliberismo di fronte al collasso ecologico.

Città spugna, pianificazione statale e il mito del “mercato verde”

Il Codice riflette una strategia più ampia: lo Stato come protagonista dello sviluppo ecologico. Alcuni esempi concreti:

  1. Città spugna: dal 2015, la Cina adotta soluzioni urbane permeabili — tetti verdi, parchi assorbenti, serbatoi sotterranei — per ridurre le inondazioni e rafforzare la resilienza climatica.
  2. Controllo statale sul credito e sugli investimenti: a differenza delle economie dove le banche private dettano le priorità, in Cina lo Stato orienta le risorse verso settori strategici come la riforestazione e le energie rinnovabili.
  3. Obblighi per il settore privato: le imprese operano secondo obiettivi ambientali definiti dalla pianificazione nazionale, non secondo codici volontari di responsabilità sociale.

Un modello in discussione: contraddizioni e insegnamenti

La Cina non è un paradiso ecologico. I critici sottolineano:

  • Le elevate emissioni continuano in settori come acciaieria e cemento.
  • Alcuni progetti della Nuova Via della Seta possono riprodurre pratiche di “colonialismo verde” nei paesi del Sud globale.

Tuttavia, ci sono lezioni ineludibili:

  • La pianificazione a lungo termine è possibile quando lo Stato non è subordinato al profitto immediato.
  • La sovranità nazionale è condizione per politiche ambientali audaci — impossibili in economie dominate dalle multinazionali.
  • La giustizia climatica richiede una rottura con l’estrattivismo, non un “capitalismo verde”.

Conclusione: un appello che supera i confini

Il Codice Ambientale cinese non è solo una legge: è un progetto di civiltà. Smonta l’ipocrisia delle potenze che organizzano conferenze sul clima mentre sabotano gli accordi e mercificano la natura. E soprattutto, ricorda che non c’è futuro senza giustizia ecologica, senza pianificazione collettiva e senza rottura con lo status quo.

La domanda che rimane è: quante catastrofi ancora saranno necessarie affinché altri Paesi osino intraprendere strade simili?