Cultura
Aldo Moro: politico o visionario? La proposta del drammaturgo Teodosio Saluzzi
L’ultima fatica di Saluzzi si sforza di recuperare il nucleo fondamentale del pensiero dello statista, la sua componente più genuina, credibile con Moro ma in seguito e per l’agire colpevole altrui, maschera fissa di un’interpretazione ingessata che la porterà alla condanna senz’appello della storia.
di Rosamaria Fumarola
I fatti drammatici che hanno riguardato la vita di Aldo Moro continuano ad interessare e nutrire la riflessione di molti, tanto che, se si fosse credenti si potrebbe pensare che uno dei loro scopi sia finito col diventare proprio lo stimolo per il confronto di quanti se ne siano interessati o se ne interessino.
L’ultima fatica del drammaturgo potentino Teodosio Saluzzi, in scena al Teatro Duse di Bari il 6 novembre alle ore 21 ed il 7 alle ore 19,30, rientra nel novero di tali riflessioni. Essa è ispirata alla figura del politico nato a Maglie e trae spunto dai colloqui che Moro ebbe con l’ amico Angelo Fizzarotti, il cui contenuto Saluzzi ha appreso dalla figlia di quest’ultimo Santa, sebbene nella pièce questi animino un discorso che si muove tra i due piani del vero e dell’immaginato, come ogni opera della creatività.
È infatti un dialogo tra Moro e Fizzarotti su temi importanti, il cardine su cui la pièce è impostata e che danno modo ai due protagonisti di esprimere punti di vista che hanno trovato spazio nella storia, non sempre declinati però nella maniera migliore. Ne emerge la figura di uno statista mosso da una grande forza morale, ma anche da una fiducia sincera nell’uomo, oltreché dalla volontà di mutarne in meglio le sorti. Moro nel ritratto di Saluzzi, ma anche nella documentazione storica che ci rimane, era politico ed uomo di cultura capace di un progetto, di una visione e di adoperarsi per realizzarli e nel fondamento di tali propositi poneva l’insegnamento del Cristo, interpretato in senso umanistico e perciò disposto sempre all’apertura, al dialogo, all’incontro, come dimostra il rapporto che Moro ebbe con l’allora segretario del PCI Enrico Berlinguer, rapporto che gli procurò le reazioni avverse di tanti anche all’interno del suo partito. Dunque Moro in “Aldo Moro: Papa o Re?” emerge come quello che molti definirebbero come “il migliore di noi” e che forse lo è stato davvero, che è stato cioè il miglior rappresentante di un pensiero politico che tuttavia nella sua realizzazione pratica ha deluso le aspettative, a causa dello scontro con la malafede e con la corruttela che hanno finito col renderlo anacronistico. L’opera del drammaturgo, grazie anche al contributo di Santa Fizzarotti, che durante la rappresentazione interviene in apertura di ciascuna scena, per chiarire antefatti o puntualizzare la ratio dell’opera, si sforza di recuperare il nucleo fondamentale del pensiero del politico ed in particolare la sua componente più genuina, credibile con Moro ma in seguito divenuta maschera fissa di una interpretazione ingessata, lontana dalla realtà che l’aveva ispirata e per questo condannata dalla storia. “Aldo Moro: Papa o Re?” ha soprattutto questo merito: ricordarci ciò che aveva ispirato la lotta politica di Moro, da tutti trascurato in favore del ritratto di un uomo politicamente tradito su questioni concrete, specifiche. Il tradimento che Saluzzi intende sottolineare è invece quello ideologico ed intellettuale, restituendoci l’unicità di una vicenda non tanto per il suo tragico epilogo, che è quasi sempre la ragione per la quale Moro viene ricordato, quanto per ciò che è stato in sé e per ciò che per tanti ha rappresentato in termini di idealità, premessa indispensabile di quell’ epilogo.
Teodosio Saluzzi, classe 1945, già a diciotto anni con due sue opere catturò l’attenzione di Eduardo De Filippo, che lo volle come allievo accanto a sé nella sua casa romana.
Nel 2014 il suo archivio teatrale è stato dichiarato di interesse storico culturale dal Mibact e nel 2015 Antonio Felice Uricchio, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” gli ha conferito un “Attestato di benemerenza” per “la sua appassionata attività teatrale che da oltre cinquant’anni interpreta con profonda sapienza artistica il nostro tempo”. Nel marzo del 2017 tiene nella stessa Università il seminario “il Teatro di Teodosio Saluzzi fra assurdo, grottesco e popolare” e nell’ottobre dello stesso anno una lezione sul teatro dell’assurdo, del grottesco e del popolare. Tra le sue (svariate) opere val la pena ricordare “Il Vangelo secondo Giuda”, finalista del XXIX Edizione Premio Teatrale Firenze, “Escort per caso” e ” Il potere è un uomo grande grande grande…con un culo grosso grosso grosso…”
Mi sia consentita una considerazione finale: nel dubbio che accompagna l’agire quotidiano di ciascuno di noi, sempre in bilico tra essere e fare per essere, Teodosio Saluzzi incarna il primo termine. Per il drammaturgo infatti il teatro non è scelta, ma vocazione ineludibile, motore al quale è impossibile sottrarsi, pena il non essere al mondo e la scomparsa da sé.
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