Cronaca
Il mostro di Firenze, sarà il Dna a scrivere la parola fine?
Nonostante le indagini e le sentenze il buio continua ad avvolgere questa terribile storia di violenza e follia. Un buio che non ci deve impedire di tenere gli occhi aperti. L’unico modo di scrivere la parola fine.
Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Ogni vicenda umana ha un inizio ed una fine. Questa è una regola filosofica e di vita. Eppure non sempre è così. Ci sono vicende su cui sembra impossibile scrivere la parola fine.
Una di queste è la vicenda del mostro di Firenze. Una vicenda che conosciamo tutti o meglio crediamo di conoscere.
Una coppia di innamorati cerca intimità e tranquillità. Sono in auto, è notte e si trovano in una zona di campagna in Toscana. Nei dintorni di Firenze. Sono soli. Così credono.
Si fanno prendere dalla passione. Nell’atto dell’amore non si rendono conto che un’ombra si avvicina allo sportello del guidatore. Estrae una pistola e spara. Prima al ragazzo e poi alla ragazza. Poi tira fuori dalla macchina il corpo di lei, lo poggia sul terreno. Si china sul corpo e con un coltello asporta il pube. Rovista nella borsa della vittima e si allontana.
Questo è il modus operandi del mostro di Firenze che dal 1974 al 1985 uccide 14 persone. Ad essere precisi la pistola usata nei delitti del mostro venne usata anche nel 1968 per l’omicidio di Antonio Lo Bianco e Barbara Locci. Per tale omicidio viene condannato il marito della Locci, Stefano Mele. Muratore sardo emigrato in Toscana. Il Mele dichiara di aver gettato la pistola, una Beretta Modello 70 calibro 22. La pistola non viene ritrovata. Comunque sia dal 1974 il mostro inizia ad usare la Beretta per la sua folle missione di morte.
Una vicenda che ha scosso l’Italia intera. Le indagini non sono facili. Pochi testimoni, pochi elementi da cui partire. Vengono battute molte piste. Si parte dalla cosiddetta pista sarda che ruota intorno all’omicidio di Barbara Locci.
Si batte anche la pista delle sette esoteriche composte da personaggi insospettabili. Fioriscono le teorie sull’identità del mostro. Vengono arrestati anche dei sospettati, che vengono poi scagionati.
Le indagini sono imponenti. Eppure il mostro continua a colpire anzi si permette di sfidare gli investigatori. Invia al pubblico ministero Silvia Della Monica una busta contenente il lembo di pelle del seno di una delle vittime. Busta che contiene un curioso errore , l’assassino invece di scrivere Repubblica scrive Republica. Errore o messaggio?
Diventa concreta l’ipotesi che alcune vittime potrebbero esser state seguite nei giorni precedenti all’omicidio. Le indagini si trascinano per anni. Nel 1991 l’attenzione cade su Pietro Pacciani contadino di Mercatale. L’attenzione cade su Pacciani sia per una lettera anonima che lo accusa degli omicidi sia per i suoi precedenti. Infatti nel 1951 sorprende la propria fidanzata in atteggiamenti intimi con un altro uomo. Pacciani uccide l’uomo a coltellate e costringe la donna ad avere un rapporto sessuale accanto al corpo. A scatenare l’ira di Pacciani è vedere la fidanzata denudare il seno sinistro.
Negli ultimi due delitti del mostro viene asportato il seno sinistro. Pacciani viene condannato a 13 anni. La sua indole violenta non cambia quando esce dal carcere. Si rende autore di continue violenze ai danni della moglie e delle figlie.
Gli investigatori trovano diversi indizi a carico di Pacciani. Nel 1993 viene arrestato con l’accusa di essere il mostro di Firenze. Nel 1994 viene condannato all’ergastolo. Nel 1996 viene assolto nel processo d’appello. Processo che vede un colpo di scena. La Procura presenta 4 testimoni, i famosi Alfa, Beta, Gamma e Delta. La Corte non ammette questi testimoni, motivo che porta la Cassazione ad annullare l’assoluzione di Pacciani.
Viene disposto un nuovo processo ma Pacciani muore improvvisamente nel 1998 prima dello svolgimento del processo. I testimoni Alfa, Beta, Gamma e Delta indicano in Pietro Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti gli autori degli omicidi del mostro. Pacciani, Vanni e Lotti diventano tristemente noti come i compagni di merende. Vanni viene condannato in via definitiva all’ergastolo, mentre Lotti a 30 anni. Per la giustizia quindi gli autori hanno nome e cognome.
Eppure le perplessità restano. Pacciani potrebbe essere credibile come “ manovalanza “ ma non come organizzatore e mandante. Mentre per Lotti e Vanni risulta veramente difficile vederli come assassini.
Le parti anatomiche asportate dal mostro a cosa servivano? Inoltre l’assassino mostra un crescendo nella sua azione che non sembra compatibile con l’ipotesi di un manovale incaricato di prelevare feticci. Nel 1974 infatti non asporta il pube. Colpisce ripetutamente la ragazza ma non asporta nulla. Solo 7 anni dopo asporta per la prima volta il pube. Come spiegare l’intervallo di 7 anni ? La dinamica dell’omicidio del 19 giugno 1982 lascia pensare che l’assassino operava da solo. Comunque sia le indagini sul mostro di Firenze non si sono mai interrotte. Come dimostra il recente ritrovamento di una traccia di Dna su un proiettile sparato nell’ultimo omicidio. Anche se, oggettivamente, sarà difficile ricovare qualcosa da un proiettile esposto alle alte temperature del momento dello sparo.
Nonostante le indagini e le sentenze il buio continua ad avvolgere questa terribile storia di violenza e follia. Un buio che non ci deve impedire di tenere gli occhi aperti. L’unico modo di scrivere la parola fine.
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