Attualità
Chi ha paura delle parole?
La lingua è bella perché è democratica: evolve con noi, risponde alle nostre esigenze, accoglie termini da altre culture quando necessario. Non c’è nulla di male nel mutamento linguistico, purché ci aiuti a comunicare
di Alessandro Andrea Argeri
“’Dissa’ non si può proprio leggere e ‘dissing’ nemmeno. Perché non torniamo a dare un nome sensato e nella nostra lingua ai fenomeni che avvengono nel nostro Paese? È orribile questo utilizzo a tutti i costi della lingua inglese”, ironia della sorte, il commento arriva da un profilo italiano ma con nome inglese.
“Eppure hamburger lo chiami hamburger”, risponde un altro utente. Parte la disputa linguistica. Dall’alto dei cieli Pietro Bembo si domanda se il giorno in cui ha iniziato a scrivere le “Prose della Volgar Lingua” davvero non avesse nulla di meglio da fare.
Un po’ di chiarezza allora. “Dissing” è un calco semantico importato dall’inglese per indicare un termine non presente nella lingua italiana. Noi potremmo usare una perifrasi, come “faida tra rapper” o altro, ma sarebbe poco calzante perché non comprenderebbe tutte le altre sfaccettature, ad esempio il litigio o il semplice sparlare in pubblico. In ogni caso, qualsiasi lingua tende alla semplificazione, quindi utilizzare una sola parola al posto di un’intera frase è sicuramente più funzionale nella comunicazione. È un male inglesizzare a tutti i costi l’italiano, ad esempio quando negli annunci di lavoro leggiamo “sales assistant” per “addetto vendite”, mentre è utile se ci aiuta a comunicare meglio idee mancanti nella nostra cultura, perché il “dissing” è nato nel mondo anglosassone, proprio come “hamburger” in Germania.
Veniamo ora a una questione spesso controversa: l’inclusione linguistica. Importare o creare una nuova parola nel vocabolario non è questione di “inclusività” o “mix” di lingue; semplicemente un termine straniero, dicasi anche “forestierismo”, viene adottato da un’altra lingua quando questa non ha il corrispettivo perché così facilità la comunicazione. Per lo stesso criterio gli inglesi hanno dovuto importare il nostro “pizza” anziché dire “massa di farina rotonda con pomodoro”.
Non c’è nulla di male nel mutamento linguistico, purché ci aiuti a comunicare. Si potrebbe pensare di sopperire “dissing” con “insultare pesantemente”, tuttavia sarebbe poco funzionale in quanto ricorrere a una parola è comunque più semplice, nonché veloce, di due, tre o più dal punto di vista sia comunicativo, nel caso del parlante, sia cognitivo per quanto riguarda l’ascoltatore. La lingua, dopotutto, è un sistema economico, la sua evoluzione non può essere controllata; l’unico criterio di validità di qualsiasi innovazione è il numero di parlanti da cui questa è adottata. Una prova pratica: quando importiamo un nuovo termine nella nostra lingua, possiamo constatarne l’utilità dal forte utilizzo. In altre parole, se funziona ed è propedeutico alla comunicazione, allora è giusto. La lingua è bella perché è democratica: evolve con noi, risponde alle nostre esigenze, accoglie termini da altre culture quando necessario. Invece di temere questo cambiamento, dovremmo accoglierlo come segno di vitalità culturale.
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