10 Novembre 2025
Nella terra dei fuochi o a Taranto valgono i diritti costituzionalmente garantiti a tutti gli italiani

Di Rosamaria Fumarola
Tanti in questi ultimi due anni si saranno chiesti, pensando agli abitanti di Gaza, cosa significhi convivere quotidianamente con l’idea della morte, provare ad occuparsi dei figli, accarezzarli, cercare qualcosa da mangiare, mentre incombe più grande la possibilità di finire in un istante l’esistenza, perché si è nati con un’ ipoteca sulla vita. A molti la sola idea sarà parsa intollerabile per la disumanizzazione di cui ci parla, anche se il concetto di ciò che è umano e ciò che invece non lo è non è immutabile e risente di una infinita serie di variabili che cambiano nel tempo. Fissa è invece la capacità dell’ uomo di adattarsi alle condizioni più difficili. Le ipoteche sulle vite degli uomini non riguardano però soltanto terre lontane, gravate da atavici conflitti. Essere un bambino nato nel quartiere Tamburi di Taranto ad esempio e non poter andare a scuola nei giorni ventosi, perché inalare le polveri sottili provenienti dall’ Ilva favorisce l’insorgenza di tumori è certo una condizione molto meno drammatica di quella di chi vive a Gaza, ma non priva di una convivenza con l’idea della malattia e della morte, che ci sembra inconciliabile con tutte le tutele che la Costituzione garantisce. E che dire della vita di coloro i quali vivono nella cosiddetta “terra dei fuochi”? Privati senza colpa del pieno godimento delle garanzie previste dalla legge, sono esposti al rischio di contrarre malattie mortali perché nati in una terra resa inferno dalla camorra e mai sanata dallo stato di cui pure fanno parte. Chiedono da trent’anni interventi, negati da amministratori che giustificano la propria assenza facendo appello alla complessità della situazione, come se questo non fosse invece il motivo per un’attenzione ben maggiore da dedicare alla questione, in luogo del disinteresse di cui viene fatta da sempre oggetto. Accettare di vivere in Campania significa ancora oggi partecipare ad una guerra dalla quale va messo in conto di poter non tornare vivi ed anche in questo caso il legame con i luoghi che si considerano propri sembra essere più forte della stessa paura della morte. Tutto questo accade in un paese a cui le guerre di un passato lontano e vicino hanno lasciato la consapevolezza che la civiltà sia una conquista e che laddove prevalga la barbarie esiste una responsabilità di chi agisce il male, ma anche di chi si astiene dal fare il bene. Un’enclave di abbandonati dunque quella degli abitanti di certe aree, al centro di un paese importante per storia, bellezza, cultura, ma anche per le garanzie di legge assicurate agli italiani, almeno sulla carta a tutti gli italiani. Questa guerra incominciata decenni fa e balzata agli onori della cronaca grazie a pochi intellettuali che ancora oggi rischiano per questo la vita è stata poi silenziata, assieme alle legittime proteste dei cittadini, derubricate ad inutile e fastidioso rumore da amministratori che si vantano di agire per il bene della comunità. Insomma oltre alla negazione del diritto alla salute i campani, secondo il governatore De Luca, non dovrebbero godere nemmeno della libertà di espressione. Queste limitazioni rendono i campani non solo meno italiani ma anche un po’ meno esseri umani. Le sanzioni che la Corte della Comunità Europea ci infligge regolarmente affinché si ponga un argine allo scempio di una terra altrimenti fertilissima e la si bonifichi dai rifiuti tossici, non sembrano turbare affatto lo status quo. In assenza di testimonianze è poi come se il problema non esistesse e come se la Campania vivesse tutto sommato le stesse problematiche del resto del paese. Pochi, coraggiosi giornalisti non aderiscono però al silenzio stampa e danno voce ai campani, che vivono solitamente una condizione non dissimile da quella dei cani a cui vengono tagliate le corde vocali per impedire che abbaino. È un impegno difficile ma necessario per emancipare gli abitanti di una regione intera dalla condizione di emarginazione a cui una classe dirigente scellerata li ha relegati.
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