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02 Dicembre 2024

Chi ha paura della musica?

Sanremo 2025 torna alle “canzonette”: niente temi sociali, solo amore e famiglia tradizionale. La linea conformista scelta da Carlo Conti è censura del dissenso e della realtà contemporanea.

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di Alessandro Andrea Argeri

A Sanremo torneranno le “canzonette”. Carlo Conti annuncia al TG1 i trenta cantanti in gara a Sanremo 2025, dove la presenza di tanti rapper, il via libera all’uso dell’auto-tune per particolari effetti vocali, tradiva un’apparente apertura alla modernità sulla scia delle edizioni precedenti condotte da Amadeus. Per questo lasciano perplessi alcune dichiarazioni rilasciate nei giorni precedenti proprio dal nuovo direttore artistico. Innanzitutto, “le canzoni di Sanremo non parleranno di guerre e immigrazione. Si tornerà a parlare di famiglia e rapporti personali”, dunque un’occasione persa per parlare di argomenti importanti attraverso l’arte; invece ci saranno solo canzoni d’amore condite di storielle inutili già sentire in miliardi di altri brani. Niente minoranze, niente temi sociali, niente disoccupati, niente problemi: solo famiglia. Quale? Ovviamente quella tradizionale. La parola d’ordine? Non disturbare.

Ancora, i singoli dei rapper saranno “orientati sul pop”, perché a Conti, o a chi per lui, “piace che i giovani raccontino la loro generazione in maniera non aggressiva”. “In maniera non aggressiva” tradotto in lingua franca significa “non in contrasto con lo status quo”, cioè in linea con i gusti dell’attuale Governo, la sua agenda, sue scelte, le sue posizioni geopolitiche, i valori di una classe dirigente particolarmente distinta per essere composta da vetusti relitti della Prima Repubblica alienati dalla realtà.

La mia generazione ha conosciuto solo parole come “inflazione”, “crisi economica”, “pil in calo”, “recessione”; da due anni siamo sull’orlo della terza guerra mondiale; i russi mostrano in diretta televisiva le simulazioni nucleari dove ci bombardano; in Medioriente è in atto un genocidio col beneplacito delle istituzioni internazionali. Ma la parte avvilente di questa storia non è tanto la sensazione di agrodolce di vedere il servizio pubblico condizionato da dei Gasparri qualunque, bensì il rammarico nel vedere la politica del proprio paese intimorita all’idea di sentir parlare proprio dei temi di cui dovrebbe occuparsi. Il risultato è ovviamente il racconto dell’Italia per ciò che non è.

Tutti pronti allora a sentire gli stessi temi in trenta brani senza alcuna sperimentazione né rappresentanza del Paese reale. Perché dopo l’ultimo Sanremo in cui si è provato a portare all’attenzione pubblica argomenti in linea con l’attualità, ora si tornerà a raccontare favolette: chi accenderà il televisore si lascerà prendere in giro, i cantanti invece, incluso il paladino dei diritti Fedez, dichiareranno implicitamente di essersi sottomessi alla censura del servizio pubblico operata da un Governo sostanzialmente ostile a ogni forma di dissenso o libertà d’espressione.

“A differenza del mio primo Sanremo, dove si veniva da una annata così e così ed era da rifondare, ora arrivo con un Sanremo in ottima salute. Posso solo fare peggio”, ha dichiarato ancora Conti. Infatti: può solo fare peggio. Per ora ci sta riuscendo.

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).