Oasi Culturale
SIDDHARTA, “TROVA CHI SMETTE DI CERCARE”
Benvenuti su “Oasi Culturale”, rubrica de ilsudest.it a cura di Alessandro Andrea Argeri e Sara D’Angelo. Questa settimana parleremo di “Siddharta”, romanzo dello scrittore tedesco Herman Hesse edito nel 1922: un cult da leggere, almeno una volta nella vita.
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Nella foto, copertina del romanzo “Siddharta”, di Herman Esse.
di Alessandro Andrea Argeri
Hesse era uno scrittore, non un filosofo, tuttavia pensare gli riusciva maledettamente bene. Dopotutto, quale mestiere è più difficile del cercare di imprimere correttamente i propri pensieri su un foglio? “Comunicare è impossibile, perché non esistono certezze univoche, assiomi categorici a cui aggrapparci”. Questa è la più grande lezione appresa nel Novecento. Eppure tutti i personaggi all’interno del “Siddharta” sono attivamente impegnati in una ricerca spasmodica della verità, di Dio, dell'”Atmo”, ovvero l’io interiore, l’anima, quel soffio vitale avvertito dall’uomo fin dal suo primo giorno ma del quale non se ne ha mai una piena certezza di esistenza. L’obiettivo è il “contatto”, la panica fusione dell’individuo con la Natura, il Tutto, l’Ordine, in un mondo dominato da falsi predicatori, finti intellettuali, peccatori, fanatici, truffatori della fede, aspiranti santi.
La lirica si fonde con l’epica, tanto da poter considerare il “Siddharta” un “poema indiano” basato sulla meditazione, elevazione, l’agognata ricerca dell’Ohm. L’impostazione della narrazione è tutta soggettiva, mentre l’atmosfera esotica, cara alla Germania del XX secolo, è garantita da pochi dettagli inerenti alla vegetazione indiana. La storia è ispirata dalla vicenda biografica del Buddha, tuttavia il profeta pakistano compare solo come personaggio secondario sotto il nome di Gotama. Il vero protagonista infatti è un ragazzo, Siddharta, in costante ricerca della verità, impossibile da cogliere attraverso le dottrine. In questa struttura letteraria tutti, anche il lettore, possono essere il Buddha, non a caso il libro col quale Hesse riuscì a conseguire il Premio Nobel nel 1946 divenne il compendio dell’inquietudine adolescenziale, nonché dell’ansia di ricerca di se stessi, motivo per cui è stato talvolta classificato come “romanzo di formazione”, nonostante le complesse tematiche ispirate alla filosofia di Schopenahuer, all’ascetismo, all’induismo, buddismo.
In Italia, “Siddarta” fu tradotto da Massimo Mila durante la prigionia forzata dal regime fascista. Fu pubblicato solo nel 1945, quando, come si legge in una nota dello stesso autore, “vennero tempi più sereni”.