Agricoltura
La crisi delle filiere alimentari tra post pandemia e guerra
Secondo la FAO, a causa della recessione post pandemica e del conflitto in Ucraina, circa cinquanta milioni di esseri umani, in oltre ottanta Paesi rischiano di soffrire la fame nei prossimi mesi. Stati Uniti, UE e Comunità Internazionale sono all’unisono intenti nel preservare queste popolazioni dagli effetti della carestia tramite: stanziamenti economici, mirate azioni di politica agraria e lotta serrata agli sprechi alimentari globali.
DI NICO CATALANO
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In queste ultime settimane, in diversi Paesi in via di sviluppo, stanno emergendo le prime avvisaglie di una preoccupante crisi alimentare. Un fenomeno dovuto principalmente ai raccolti sempre più scarsi ottenuti a livello mondiale per via degli ormai frequenti eventi climatici avversi, ma anche ascrivibile all’incremento dei costi energetici registrato in questi ultimi mesi. Una situazione che trae le sue origini dalla crisi economica post pandemica, aggravata dalle conseguenze della guerra sia sulle produzioni Ucraine ma anche a causa delle sanzioni internazionali imposte sulle esportazioni Russe. Queste congiunture negative globali, stanno trascinando verso l’instabilità economica e sociale una parte rilevante del Globo terreste, ovvero tutte quelle Nazioni non autosufficienti dal punto di vista alimentare, e quindi da sempre dipendenti dalle importazioni estere di grano e cereali vari. Secondo una recente stima da parte della FAO, sembrerebbe che nel mondo, circa cinquanta milioni di esseri umani, maggiormente collocati nelle fasce deboli della popolazione di oltre ottanta Paesi, nel breve e medio periodo rischiano di soffrire la fame e le sue conseguenze sanitarie. Nei giorni scorsi, sia gli Stati Uniti così come l’Unione Europea, hanno stanziato cospicui interventi economici destinati all’immediato futuro, risorse monetarie che saranno utilizzate a sopperire la mancata presenza sui mercati mondiali di circa trenta milioni di tonnellate di grano e di altrettante tonnellate di mais, quest’ultimo importante alimento della dieta di diversi animali d’allevamento. Oltre agli interventi prettamente economici, così come l’impegno da parte degli Stati Uniti, di destinare oltre cinque miliardi di dollari per l’aiuto alimentare globale, vanno evidenziate anche lodevoli azioni di politica agraria. Tra quest’ultime, va menzionata la decisione dell’Unione Europea, di riportare in coltura circa nove milioni di ettari precedentemente indirizzati alla pratica della non coltivazione, quale azione di contrasto agli effetti del cambiamento climatico in corso. Oltre a tutto questo, in una situazione di austerità e penuria di risorse a livello globale, uno scenario che purtroppo potrebbe durare molto a lungo, sarebbe importante per la Comunità Internazionale cominciare a mettere in atto importanti iniziative di lotta sia agli sprechi in ambito domestico così come alle perdite alimentari lungo le varie filiere. Cercando di limitare i primi, tramite l’implementazione di concreti programmi volti ad una capillare educazione alimentare, e contrastando seriamente le perdite lungo la filiera, tramite il finanziamento di azioni per migliorare la tecnologia e l’organizzazione delle varie fasi; dalla produzione, passando per la trasformazione, sino alla distribuzione. Sempre secondo la FAO, ogni anno nel mondo, quasi un miliardo e mezzo di ettari di superficie agricola, viene utilizzata per produrre alimenti che rimangono inutilizzati e finiscono nella spazzatura. Uno spreco, eticamente, socialmente e economicamente ormai non più accettabile per l’intera Umanità.
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