Inchiesta
Sangue e misteri a checkpoint Pasta
Il legame tra Somalia e Italia è antico. La Somalia italiana dal 1889 al 1908 è un protettorato. Dal 1908 al 1941 è colonia italiana.
Dal 1950 al 1960, la Somalia è sotto amministrazione fiduciaria italiana per mandato dell’ONU.
Il 20 settembre 1985, il governo guidato da Bettino Craxi firma con la Somalia un contratto di cooperazione da 550 miliardi di vecchi e care lire.
Esistono anche legami oscuri. Traffico di armi e rifiuti tossici. Alle vicende somale si lega Gladio con il centro Scorpione a Trapani.
Credit foto https://www.anae.it/2020/05/30/i-diavoli-neri/
Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Somalia 1993. Soldati italiani marciano per le vie di Mogadiscio. Come i loro nonni. Con una differenza sostanziale. Non sono in Somalia per conquistare ma per garantire la pace.
Missione UNOSOM II. Il tentativo dell’Onu di pacificare la martoriata Somalia.
L’Italia partecipa con un contingente dotato di armamento pesante. La situazione non è tranquilla. Lo scontro tra le milizie di Aidid e quelle di Ali Mahdi Mohamed è violento.
Il legame tra Somalia e Italia è antico. La Somalia italiana dal 1889 al 1908 è un protettorato. Dal 1908 al 1941 è colonia italiana.
Dal 1950 al 1960, la Somalia è sotto amministrazione fiduciaria italiana per mandato dell’ONU.
Il 20 settembre 1985, il governo guidato da Bettino Craxi firma con la Somalia un contratto di cooperazione da 550 miliardi di vecchie e care lire.
Esistono anche legami oscuri. Traffico di armi e rifiuti tossici. Alle vicende somale si lega Gladio con il centro Scorpione a Trapani.
Il contingente italiano nel 1993 in Somalia è formato ancora da molti soldati di leva. Il muro di Berlino è caduto, il mondo cambia. Inizia a cambiare, lentamente, anche il nostro Esercito.
In Somalia arrivano nuovi armamenti. Blindo Centauro, l’elicottero da combattimento Mangusta, fucili d’assalto Beretta Ar70/90. Ma anche armi vecchie, come i carri M60 e VTT M113.
Anche se pesantemente armato, il nostro contingente non usa la forza. Preferisce dialogare, conquistare la fiducia della popolazione. Come già sperimentato in Libano.
Inizialmente funziona anche in Somalia.
Il 2 luglio 1993, però, cambia tutto.
All’alba inizia l’operazione Canguro 11. Operazione di rastrellamento per individuare armi. Operazione di routine. Con due particolarità. Viene dato un preavviso di poche ore diversamente dal solito e partecipa un elevato numero di soldati italiani.
Paracadutisti della Folgore, carabinieri del Tuscania e incursori del Col Moschin appoggiati da otto carri M60 e otto blindo Centauro devono rastrellare un quadrilatero compreso tra i capisaldi italiani “Pasta” e “Ferro”. I nostri soldati hanno anche l’appoggio aereo di elicotteri Mangusta e AB205. Sono presenti anche 400 poliziotti somali.
Il rastrellamento porta al sequestro di armi e all’arresto di alcuni somali. Tutto sembra tranquillo.
Terminato il rastrellamento, le due colonne italiane (Alfa e Bravo) si avviano per rientrare alla base.
La colonna Alfa è in movimento quando si scatena l’inferno. Vengono bloccati da una barricata e da una barriera di donne e bambini.
I miliziani somali, usando come scudo i civili, attaccano la colonna italiana. Usano armi pesanti. Lanciarazzi anticarro russi RPG-7, mitragliatrici e mortai. I vecchi cingolati italiani non reggono i colpi dei razzi anticarro.
Il comando italiano invia la colonna Bravo come rinforzo. Sarà inutile, perché anche la Bravo viene bloccata e attaccata.
I soldati italiani hanno i cannoni da 105 mm dei carri e delle blindo ma non possono sparare per non causare vittime civili. Un elicottero anticarro Mangusta interviene unicamente per distruggere un veicolo italiano catturato dai somali.
Dopo durissimi combattimenti i nostri militari riescono a sganciarsi. Il bilancio è tremendo. Tre soldati italiani uccisi e 22 feriti.
A cadere sono il sottotenente Andrea Millevoi dei Lancieri di Montebello; il sergente maggiore Stefano Paolicchi del reggimento “Col Moschin”; il caporale di leva Pasquale Baccaro della Brigata Folgore.
Dopo 28 anni, non è ancora chiaro il motivo di un così violento e organizzato attacco al contingente italiano. Diverse le ipotesi. Forse i militari italiani avevano trovato il nascondiglio di Aidid o avevano trovato un grosso deposito di armi. Forse l’attacco nasce da contrasti nelle milizie di Aidid. Tanti forse.
I soldati italiani avevano concluso il rastrellamento. Stavano andando via. Avevano sequestrato delle armi e arrestato personaggi apparentemente di nessun valore. Perché allora attaccare? Per mandare un messaggio? O perché i soldati italiani avevano visto qualcosa o qualcuno che non dovevano vedere?
Il 12 novembre 1993 in Somalia viene ucciso Vincenzo Li Causi agente del Sismi, che aveva guidato il centro Scorpione di Trapani. Il 2 marzo 1994 scompare in Sardegna l’elicottero Volpe 132 della Finanza. Il 20 marzo 1994 a Mogadiscio vengono uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Il 7 luglio 1994 in Algeria avviene la strage del Lucina.
I fatti del checkpoint Pasta, l’omicidio di Vincenzo Li Causi, l’esecuzione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, la scomparsa di Volpe 132 e la strage del Lucina, sono forse collegati?
L’Africa rimane terra di misteri, di razzie e strani affari. Quanto accaduto in Somalia tra il 1993 e il 1994 non è ancora Storia ma triste e pericolosa attualità.
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