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Lo scrittore Paolo Amoruso racconta “Marmotte domestiche”
di MARIA DEL ROSSO
Nostra intervista
Lo scrittore e poeta pugliese, Paolo Amoruso racconta il suo ultimo lavoro poetico “Marmotte domestiche” edito da Rupe Mutevole.
Classe 95, Paolo studia Scienze dei Beni Archivistici e Librari presso l’Università degli Studi di Bari. Si occupa di eventi ed è appassionato di libri e di poesia.
Il poeta barese è una penna sensibile che si sta affermando nell’ editoria nazionale.
Al riguardo, Andrea Salvataci, noto giornalista del Corriere della Sera lo ha definito una voce potente e destabilizzante.
È un giovane carismatico, talentuoso, capace di emozionare il lettore e di condurlo in un viaggio interiore per rinascere mediante la poesia, l’arte della bellezza.
La carriera artistica di Paolo è iniziata con la pubblicazione della silloge poetica dedicata ad Alda Merini, “Piccole Storie Indaco, Edizioni La Gru, Scintille”.
In seguito, Amoruso ha pubblicato “Aldebaran, Rupe Mutevole, Poesia”, una raccolta di poesia a quattro mani scritta con Maria Grazia Vai e “Madeleine, Edizioni Terra D’ Ulivi, Le Murrine”.
“Marmotte domestiche” è il tuo nuovo lavoro. A chi è ispirato?
“Marmotte Domestiche è un libro che vuole parlare di tutti e far parlare tutti, è per questo ispirato alla collettività: passata, presente e futura. Pur essendoci diverse parti estremamente biografiche è la scrittura meno introspettiva alla quale io mi sia dedicato. Dal punto di vista lessicale e stilistico, è stato molto utile per me, leggere poeti come Trilussa, Amelia Rosselli, Antonia Pozzi. Le pagine conclusive del libro sono state accompagnate alle letture di un autore americano che ho scoperto solo
in quel periodo, mi riferisco a Ron Padgett, e al libro “Ho scelto me”. Ma l’influenza maggiore è stata quella di Fernanda Ferraresso, una poetessa veneta, a mio avviso, potentissima. Credo di essere immensamente innamorato della sua poesia.
Inseguire le sue parole mi ha aiutato a superare un fermo che perdurava incessante. Per questo ringrazio infinitamente Fernanda. La ringrazio per il suo fare poesia, per il suo essere poesia; che non significa scrivere poesie, ma vivere la Poesia e farne sandali e argilla.”
Sfogliando tra le pagine del libro il lettore potrà notare che non è presente l’ uso della punteggiatura. Perché questa scelta?
“La scelta di abolire la punteggiatura è volta a dare l’opportunità a chiunque scelga di leggermi di creare altro attraverso ciò che ho scritto. Quelle che ho messo su carta sono parole che si offrono, vogliono essere una voce per tutti coloro che hanno perso la voglia di dirsi, di raccontare. Si direbbe riuscito questo esperimento se attraverso le storie che ho scritto gli altri possano crearne altre, le proprie, o qualunque altra sentano vada regalata al mondo.”
Nel libro c’ è un riferimento alle tue radici. Quanto sia importante il legame con la tua famiglia e la tua terra?
“Esattamente. La radice è uno degli elementi centrali di questo libro. Alla base vi è un inno alla memoria, al ricordo, alle storie tramandate. In questo vi è la nostra più grande ricchezza. Così, appunto, si genera l’immortalità della parola – che rende a sua volta l’uomo immortale. Tutti hanno il diritto di essere ricordati, e questo vale sia per i vivi che i morti.
Personalmente, il legame con le radici, sparse in tutte le generazioni che mi hanno preceduto è più che importante. Tutto ciò che c’è stato prima di me ha contribuito a creare la mia cronaca, a darmi un senso. Ed è questo ciò che continuerò a fare per tutti coloro che verranno dopo. Questa è una catena che non dovremmo spezzare, mai.
Non potevo, dunque, non dedicare un’intera sottosezione ai miei genitori e a quelli di tutti gli altri, dare voce (come è già successo in precedenza) alla mia bisnonna e al suo spirito genuino e guerriero, o ricordare il calore della prima casa in cui ho abitato, la figura essenziale dei miei nonni, lo spirito diffidente e timido di mia sorella e il suo silenzio pieno di vita.
Allo stesso modo non dovremmo mai dimenticare da dove veniamo. Il luogo dove siamo nati, le sue tradizioni, la sua cultura sono una sorta di formulario socio-geografico che il cuore conserverà sempre.”
Un aggettivo per descrivere “Marmotte domestiche”.
“Più che aggettivo, direi un nome. Cineasta. Marmotte domestiche è sicuramente un libro cineasta.”
Quale rapporto hai con i tuoi lettori?
“Non mi interessano gli applausi, neanche i complimenti. Quello a cui punto è il confronto, lo scambio, il dialogo con il lettore. Credo che uno dei momenti più belli per chi scrive sia la possibilità di entrare in contatto con chi lo ha letto, ricevere un messaggio, rispondere ad una domanda, e perché no mangiare focaccia e bere birra insieme. L’incontro con il lettore è magico.
Marmotte Domestiche è il mio quarto libro. Gli altri li ho scritti e pubblicati tra i quindici e i diciotto anni. Prima cercavo una sorta di approvazione. Ora il legame, e le altre parole che ne derivano. Mi piacerebbe molto, un giorno, trovare in un lettore un grande amico.”
Si avvicinano le festività natalizie. Al riguardo, un consiglio da suggerire ai lettori per donare ai propri cari il tuo libro sotto l’albero di Natale. Perché “Marmotte domestiche” non dovrebbe mancare anche nelle librerie domestiche?
“Perché ogni libro, qualsiasi esso sia, rende preziosa una casa.
Perché la “casa” è il luogo attorno al quale ruota l’intero libro.
L’amore di cui parlo nel libro è proprio quello che ci attraversa la carne, piantandosi dentro. Quello che ci porta a dire grazie per il posto in cui siamo, per la famiglia e gli amici che abbiamo, per chi abbiamo sposato o sposeremo un giorno, per quello che siamo e che eravamo anche prima di esserlo. E poi regalare libri è bellissimo! A Natale, anche di più!”
La foto è di Paolo Amoruso.