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Metti una sera in tv
di MICHELANGELA BARBA
Scalpore nel mondo femminista per l’intervista di Bruno Vespa alla vittima di violenza maschile Lucia Panigalli che racconta la sua drammatica storia di abusi, dolore, sofferta ricerca di una via d’uscita, ancora una volta paura e mancanza di attenzione da parte delle istituzioni.
Il giornalista, in mancanza di un plastico di villetta, su cui concentrare l’attenzione propria e degli spettatori, si lascia andare a commenti di inopportunità sconcertante.
“Se l’avesse voluta uccidere lo avrebbe fatto”
Già. In fondo, signora mia, l’importante è che siamo qui a raccontarlo. Consueto altissimo livello della televisione italiana.
Sdegno di massa privo di risultati alcuni, anzi, la presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio rilascia immediatamente un’intervista al medesimo giornalista nella medesima trasmissione.
Pare senza plastici e persino senza commenti sulla mezza stagione. Ma c’è una domanda a monte che forse bisognerebbe porsi.
L’intervista alla vittima perché?
Perché è necessaria, indispensabile, perché fa la differenza, sui media come nelle aule di tribunale?
“ Buongiorno, è l’associazione EBANO? siamo del giornale x/della tv Y e vorremmo fare un servizio sulla vostra associazione. Avete ragazze che possono testimoniare? Anche a volto coperto ma sarebbe meglio in chiaro così si vedono le espressioni…”
Se ricevessimo donazioni con la stessa frequenza con cui riceviamo la richiesta di dare in pasto al pubblico qualche nostra assistita la vita sarebbe meravigliosa.
Ogni volta a spiegare che raccontare il proprio calvario è riviverlo, che raccontarlo a un pubblico non selezionato che magari posta commenti idioti sotto il link dell’intervista è peggio, che il percorso che noi proponiamo è di uscita dalla percezione di sé come vittima anzi “Vittima” , che possiamo raccontare storie a manciate ma chiedere a chi l’ha vissuta di mettersi a nudo, anche censurando qualche dettaglio, no, grazie, ci sembra troppo.
Nulla.
“Il servizio senza testimonianza diretta non viene bene, non ha impatto emotivo.”
Eccoci qui. Impatto emotivo.
La violenza sulle donne non è un problema politico o giuridico. Non è un problema di diritti violati e di millenaria ingiustizia.
È un problema di pietà.
La fragile fanciulla picchiata, prostituita, privata dei figli suscita pietà.
I pomeriggi televisivi sono ormai pieni di storie strappalacrime di donne massacrate, tra un vittima di malasanità e un padre di famiglia che ha perso il posto di lavoro. Oppure un padre separato, why not? Basta non farli incrociare nei camerini
Idem nei tribunali.
Il perseguimento di questi reati si basa sulla credibilità ma ancor meglio sarebbe dire sulla spendibilità della Vittima. Spesso sono reati perseguibili d’ufficio ma… la ragazza denuncia? Sa ricostruire la storia in modo puntuale e credibile? In ultima analisi: ci convince?
Esistono intercettazioni, pedinamenti, telecamere, movimenti bancari, referti medici, testimoni oculari.
Ma nulla: denuncia o no? Ha interesse o no a liberarsi? E se lo ha, è un interesse genuino? Vorrà mica vendicarsi di qualcosa? Esprime un dolore autentico o è strumentale?
Quale reati, quali altri reati chiedono la testimonianza della Vittima come perno del riconoscimento? Sfilano i tossicodipendenti nei processi contro il narcotraffico?
Sfilano i cittadini rimasti privi di servizi nei processi per evasione fiscale?
Quante volte le vittime di reati patrimoniali, dopo la prima deposizione, sono convocati al processo a raccontare passo passo il loro sgomento nell’entrare in una casa violata o la rabbia e i disagi di dover rifare tutti i documenti? Risposta è: praticamente mai. E gli autori di questi reati sono condannati quasi sempre è con pene più alte di chi picchia una compagna o butta per strada una ragazzina.
Due anni la pena base per lo sfruttamento della prostituzione, come il furto semplice. Già se il furto è in abitazione la pena base diventa raddoppia, quattro anni. E lungo sarebbe il discorso della disparità giuridica.
Fino a quando la Vittima e sua capacità di suscitare la compassione, la sua meritevolezza di compassione saranno i criteri per cui la società si mobilita e i tribunali condannano, ahimè, l’unico piano contro la violenza potrà essere quello di fuga. Y no mas.
Poi sì, ci si mettono anche giornalisti inqualificabili. Ma solo poi.
Ps. Due ragazze assistite da Ebano hanno dato la disponibilità a interviste con identità nascosta quindi sì, leggerete a destra e a manca qualche nostra storia. Non è una marcia indietro rispetto a quanto sopra.
Si sono offerte loro: “Zia, se il mondo è fatto di imbecilli, che dobbiamo fare? Diamogli le storie così magari qualcuno si decide a fare qualcosa. Per i motivi sbagliati ma chissenefrega.”
Ecco, le ex vittime quando escono dal santino della pietà hanno una marcia in più.