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Miti greci – Le Parche
di MARIA PACE
Erano le Signore del Fato, arbitri dei destini umani: vita e morte.
Nacquero dall’unione fra Notte ed Erebo (Inferno). Insieme a loro nacquero anche: Vecchia, Morte, Sonno, Discordia, Miseria; ma aprirono gli occhi alla luce anche: Gioia, Amicizia, Nemesi (Memoria), Pietà e le Ninfe Esperidi, le Custodi della pianta del Pomo d’Oro, dono di nozze di Gea (Terra) ad Era (Giunone).
Cloto, Lachesi e Atropo, i nomi delle tre Dee e quest’ultima, delle tre, era la più implacabile Vestite di bianco, perché il bianco è il colore del lutto e della morte, reggevano in mano il “filo della vita” di ogni creatura. A filare quel “filo” con il fuso era Cloto, a misurarne la lunghezza, facendolo scorrere tra le dita, era, invece, Lachesi. Atropo, infine, lo recideva con le sue Forbici Sacre quando ritneva fosse giunto il momento giusto. In onore di queste implacabili Divinità furono eretti altari esposti ad intemperie e circondati da boschi di querce; durante i riti si offrivano loro acqua, miele e fiori e ci si presentava alle cerimonie con il capo inghirlandato di fiori e foglie
Un mito più recente le vuole, invece, figlie di Giove e della ninfa Temi; sempre secondo questo mito, era Giove a mettere nelle loro mani il filo della vita di mortali e semidei ed era lo stesso Giove che poteva decidere quando fosse il momento di reciderlo.
Quando non filavano o spezzavano “fili”, le Moire non se ne stavano certamente in ozio. Essendo le Signore del Fato, erano loro ad assegnare a tutti, mortali ed immortali, destini e compiti. A Venere, ad esempio, avevano assegnato il solo compito di amoreggiare, a Marte di guerreggiare, ecc… Un giorno Atena sorprese la Dea dell’Amore davanti ad un telaio e non mancò di rimproverarla aspramente, accusandola di volerle togliere una delle sue prerogative. Venere si scusò immediatamente, lasciò il telaio e da quel giorno non si occupò d’altro che di amori e corteggiamenti, senza mai fare qualcosa che assomigliasse vagamente ad un lavoro.
Alle Graie, secondo i Greci, va anche il merito di aver inventato l’alfabeto: le vocali, in realtà, più le consonanti B e T; altre undici consonanti furono inventate da un certo Palimede. Ermete, infine, riprodusse i suoni corrispondenti a quei segni. Si aiutò, si dice, con due preziosi doni ricevuti dalle Graie: l’Occhio-Magico e il Dente dalle proprietà divinatorie. Pare, inoltre, che queste eclettiche Divinità possedessero una voce straordinariamente melodiosa e che fossero sempre pronte a rallegrare banchetti e festini divini con la loro presenza e il loro canto.
Troviamo spesso le Moire all’interno di miti riguardanti altri personaggi. Ne proponiamo un paio: il gigante Tifone e l’argonauta Admeto.
– ADMETO
Particolari e per molti aspetti patetiche le vicende che vedono protagonista questo eroe.
Re di Fere, in Tracia, Admeto era molto caro al dio Apollo che per un intero anno aveva prestato servizio presso di lui quale mandriano delle sue greggi,
Un Dio al servizio di un mortale? Doveva averla combinata proprio grossa, il bell’Apollo, per meritare quella pena. Ed infatti, il Dio della Cetra aveva ucciso nientemeno che i Ciclopi, la Guardia personale del Sommo Giove. In verità, lo aveva fatto per vendicare la morte di suo figlio Esclapio, ucciso da una folgore scagliata contro di lui da Giove per aver restituito la vita ad un mortale.
Con l’aiuto del suo divino protettore,Admeto si apprestava a convolare a giuste nozze con Alcesti, la bellissima e generosissima figlia di re Pelia. Tra i moltissimi pretendenti, infatti, Admeto, forte e coraggioso, era stato il solo a riuscire ad aggiogare al cocchio di re Pelia un leone ed un cinghiale selvatico. In verità, a domare le due belve era stato necessario l’intervento del grande Eracle, di passaggio pe quelle contrade. Disgrazia volle che Admeto si dimenticasse di offrire, per l’occasione, sacrifici ad Atena. Si sa quanto gli antichi Dei greci fossero astiosi e vendicativi. La Dea, infatti, offesa da tanto affronto, riempì la camera nuziale di velenosi serpenti che causarono la morte dello sposo. Prima che la sua anima si mettesse in viaggio per L’Ade, ancora una volta Apollo intervenne in suo soccorso, raggirando le Moire e facendole ubriacare e riuscendo a convincerle a prolungargli la vita per qualche tempo ancora. Queste acconsentirono , ma ad una condizione: che qualcun altro prendesse il suo posto. Per primi, Admeto scongiurò i propri genitori: “Mi avete dato la vita. – implorò, gettandosi ai loro piedi – Se adesso uno di voi due non scende nell’Ade a prendere il mio posto, è come se questa vita ve la riprendeste indietro.” Sia pure a malincuore, tanto il padre quanto la madre opposero un netto rifiuto “Ogni creatura umana – risposero – deve sottostare al proprio Destino. Qualunque esso sia.” Proprio mentre Admeto, ormai rassegnato, stava per intraprendere il suo ultimo viaggio, ecco presentarsi la bella Alcesti con in mano una coppa di veleno, pronta a prendere il suo posto e sacrificare la sua vita per amore. Admeto accettò quel sacrificio ed Alcesti bevve il veleno e raggiunse presto l’Ade. Chi, invece si rifiutò di accettare quel grande sacrificio d’amor fu Proserpina, Regina degli Inferi che la rimandò subito indietro, pretendendo che l’insensibile ed ingeneroso marito scendesse giù ad occupare il proprio posto.
– TIFONE
Con il povero Tifone, il più grosso e spaventevole dei Giganti, le Moire si comportarono addirittura in modo ingannevole e subdolo. Durante la rivolta dei Giganti contro l’Olimpo, le Moire si schierarono dalla parte di Zeus e lo aiutarono scagliando contro i ribelli proiettili di rame infuocati. Nello scontro Tifone restò seriamente ferito e dolorante. Fingendo di volerlo soccorrere, le diaboliche, candide creature gli offrirono dei frutti misteriosi facendogli credere che gli avrebbero ridato forza e vigore. Come si sa,le cose andarono diversamente. Tifone affrontò Zeus convinto di una forza che in realtà non possedeva e alla fine si ritrovò piuttosto malconcio. Zeus, uscito vincitore dal durissimo scontro, lo scaraventò sotto l’Etna che da quel giorno non ha più smesso di sputare fuoco.