30 Giugno 2025
Héctor Celano, poeta, trovadore e militante della parola:
Se la grande maggioranza dell’umanità non cambia il corso, distruzione e morte continueranno.

Di Maddalena Celano
Introduzione
Héctor Celano è molto più di un poeta: è un testimone del suo tempo, un artista con memoria e un militante della parola. Nato a La Matanza, Buenos Aires, Argentina, e accolto da Cuba nel pieno della sua creatività, la sua vita è stata segnata dalla lotta contro l’ingiustizia, la ricerca della verità e l’impegno incrollabile a fianco dei popoli oppressi dell’America Latina. La sua poesia, profonda e testimoniale, non rifugge dal dolore, dall’amore né dalla speranza, e costituisce un ponte tra la storia vissuta e la resistenza scritta.
In questa intervista, ripercorriamo la sua traiettoria vitale, letteraria e politica: dai giorni turbolenti delle dittature argentine al suo presente diviso tra l’Argentina e l’isola rivoluzionaria, sempre con la convinzione che scrivere sia anche una forma di lottare.
INTERVISTA
1. Héctor, puoi raccontarci la tua infanzia in Argentina e quali ricordi conservi di quegli anni?
Sono nato nel 1950. L’ambiente familiare era di assoluta semplicità, ma colmo d’amore e armonia. Essendo il più piccolo di tre fratelli (Ruben, di 12 anni più grande, ed Elida di 8), ho ricevuto tanto affetto.
Ricordi tantissimi: definivo il quartiere come “la casa di fuori”. Strade sterrate, ampi spazi per giocare (specialmente a calcio) e un “sciame” di bambini e giovani di varie origini – soprattutto italiani e spagnoli, ma anche da altri luoghi dell’Argentina.
La letteratura, specialmente per chi ha vissuto quel contesto, non ha potuto ignorare tutto questo. La mia poesia e prosa ne sono profondamente marcate.
2. Quando e come hai scoperto la poesia? Ricordi il tuo primo poema?
Il primo poema lo scrissi a 9 anni, su richiesta della maestra per la festa della mamma. Mi vennero in mente versi in quartine. Il testo piacque molto. Poi ne scrissi altri per mia madre Matilde e mio padre Pedro (quando si ammalò gravemente, avevo 13 anni).
Anche i miei primi turbamenti amorosi furono oggetto dei “deliri poetici”.
3. Che influenza ha avuto il tuo ambiente familiare e sociale sul tuo impegno politico e letterario?
Enorme. Le mie convinzioni si formarono da piccolo. Mi colpiva che molti bambini del quartiere non potessero studiare dopo le elementari.
Io iniziai a lavorare a 11 anni come incisore artistico del vetro, ma ebbi la fortuna di ricevere una borsa dal Rotary Club di San Justo.
La disuguaglianza delle opportunità è stata e resta il motore della mia lotta.
4. Quali autori hanno influenzato la tua formazione poetica e la tua coscienza militante?
Dapprima la letteratura per bambini, poi i classici: Victor Hugo, Verne, Cervantes… La lettura è un piacere fondamentale per me.
5. Come hai vissuto la fervente atmosfera politica e culturale dell’Argentina prima della dittatura?
L’Argentina ha subito varie dittature militari. Prima della più sanguinosa (1976), ce ne furono altre, anche se la resistenza popolare impedì loro di consolidarsi.
Io ero militante del Partito Comunista Argentino e anche sotto governi democratici subivamo persecuzioni.
6. Durante la dittatura, hai mai pensato all’esilio?
No. Chi militava nei quartieri popolari non ci pensava. Anche sapendo delle sparizioni, continuavamo a sperare.
Ero padre giovane, Violeta Libertad nacque nel 1977, più di un anno dopo il colpo di Stato.
7. Cosa ha rappresentato Cuba nella tua vita personale, politica e poetica?
Cuba era la prossima tappa, la possibilità concreta di una patria grande e socialista.
Mi ha dato certezza e slancio creativo, un senso epico e sociale che ancora mi accompagna.
8. Come ti sei integrato nella società cubana? Ti sei sentito accolto come poeta e militante?
A Cuba il poeta non è visto come una figura strana. Dopo aver vinto il premio “Ciudad del Che” nel 1997, fui accolto con molto affetto.
Poi fui invitato a partecipare alla “Guerrilla de Teatreros” nella provincia di Granma, e lì nacque un legame profondo.
9. Qual è per te il ruolo della poesia nei contesti di repressione e resistenza?
La poesia è per natura sovversiva, rompe gli schemi, accorcia le distanze, facilita una comunicazione diversa.
Durante la dittatura si infiltrava ovunque, anche se fu duramente repressa.
10. Hai scritto di esilio, memoria e lotta. La poesia può essere un’arma di combattimento?
Sì. Come disse Gabriel Celaya nel 1955: “La poesia è un’arma carica di futuro”.
La parola può anche essere usata per perpetuare il sistema, ma la poesia vera deve combattere quella menzogna.
11. Che rapporto hai oggi con l’Argentina? Ti senti parte della sua storia politica e culturale?
Sempre. L’Argentina mi ha dato tutto: il bene, il mediocre e il discutibile.
L’identità che mi ha formato la amo, anche se talvolta la maledico. Riconosco la dignità delle classi popolari.
12. Che influenza ha avuto José Martí sulla tua opera?
Ho conosciuto Martí da bambino, attraverso le sue poesie. Più tardi ho letto le sue opere complete.
Martí resta un pensatore fresco, profondo, attualissimo.
13. Nei tuoi versi c’è un forte contenuto testimoniale. Ti consideri un cronista lirico del tuo tempo?
Sì. Come diceva Armando Tejada Gómez: il poeta è cronista del suo tempo.
L’arte in generale testimonia il presente e diventa strumento per comprendere la storia.
14. Che posto occupano i desaparecidos e le Madri di Plaza de Mayo nel tuo universo poetico?
Il dolore, il vuoto, l’assenza.
La barbarie inflitta da esseri umani ai loro simili è inimmaginabile.
Le Madri, Nonne, Figli, Nipoti rappresentano la massima dignità della lotta per la Verità e la Giustizia.
Anche molti uomini lottarono e furono uccisi, ma la figura pubblica dominante è quella della donna, per ragioni storiche e culturali.
15. Cosa pensi dell’attualità, considerando i gravi conflitti bellici in corso?
Parlo con angoscia e rabbia. Un pugno di potenti decide per tutti.
Se la grande maggioranza dell’umanità non cambia il corso, distruzione e morte continueranno.
Le guerre ormai non sono più lontane. Il capitalismo ha bisogno di guerra, conquista, espansione.
L’arte, per esistere, ha bisogno di pace.
Ecco perché i guerrafondai attaccano prima di tutto la cultura.
La creatività ha bisogno di pace e risveglia la sensibilità, la qualità più umana che ci resta.
Come disse Cortázar: “L’umanità doveva arrivare fin qui o ha sbagliato strada dall’inizio”. Forse siamo ancora in tempo per correggere.
