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28 Settembre 2025

Il salto navale della Cina: scienza, tecnologia e la nuova centralità globale

Non si tratta solo di un passo tecnico, ma di un segno politico: la Cina ha dimostrato che non copia più, innova. E lo fa in un settore — quello navale — che per decenni è stato dominio esclusivo di Washington.

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Di Marlene Madalena Pozzan Foschiera

La notizia che il 22 settembre la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione abbia completato i primi lanci assistiti dal portaerei Fujian, dotato di catapulta elettromagnetica, ha colto di sorpresa la stampa internazionale. Le immagini di caccia pesanti, aerei stealth e velivoli radar decollare da un ponte interamente elettronico hanno fatto il giro del mondo, accompagnate da commenti di stupore persino nei media statunitensi.

Non si tratta solo di un passo tecnico, ma di un segno politico: la Cina ha dimostrato che non copia più, innova. E lo fa in un settore — quello navale — che per decenni è stato dominio esclusivo di Washington.

Dal Liaoning al Fujian: una trasformazione accelerata

In meno di quindici anni, Pechino è passata dal suo primo portaerei (Liaoning, acquistato dall’Ucraina e ricostruito) a un terzo vettore interamente progettato e costruito in patria. Se il Liaoning e lo Shandong utilizzavano ancora rampe di decollo tradizionali, il Fujian rompe lo schema: con la catapulta elettromagnetica può lanciare aerei più pesanti, con più carburante e armamenti, aumentando esponenzialmente il raggio operativo.

Gli Stati Uniti, finora unici ad avere questa tecnologia (sul Gerald R. Ford), non hanno ancora mostrato pubblicamente la capacità di lanciare i loro F-35C con questo sistema. La Cina invece lo ha fatto con il suo nuovo caccia stealth J-35, guadagnando così un primato storico.

Una marina numericamente già al primo posto

Secondo diversi studi, la Marina cinese è ormai la più grande del mondo per numero di navi da guerra. In termini di tonnellaggio complessivo resta dietro alla US Navy, ma la tendenza è chiara: Pechino costruisce più in fretta e con un piano industriale coerente.

L’analista Lejeune Mirhan ricorda che oggi la Cina dispone di tre portaerei (due pienamente operativi e il Fujian in fase di prove) e che entro il 2030 potrebbe arrivare a sette. Non è solo un numero: significa un salto di scala nella proiezione marittima, soprattutto nell’area dell’Indo-Pacifico.

Oltre la retorica della paura: il fattore scienza

Se l’Occidente legge questi passi come minaccia, per la Cina essi sono soprattutto il risultato di un modello di sviluppo centrato sulla scienza e sulla tecnologia. Ogni catapulta non è soltanto un meccanismo militare, ma la somma di ricerca, ingegneria avanzata, formazione di migliaia di tecnici e ingegneri.

Mentre gran parte del mondo neoliberale continua a tagliare nella scuola e nella ricerca, Pechino investe massicciamente nell’educazione superiore, nei centri di ricerca e nella formazione tecnica. Il vero motore del progresso cinese non è il metallo delle navi, ma il capitale umano che le progetta e le fa funzionare.

Il significato geopolitico

Con il Fujian, la Cina manda un messaggio: non accetta più un ordine mondiale dove solo pochi si arrogano il diritto di proiettare potenza navale. Ma questo non implica automaticamente una corsa alla guerra. Al contrario, Pechino afferma di voler difendere i propri diritti marittimi e assicurare stabilità.

Resta la domanda: quale stabilità? Per molti vicini dell’Asia orientale, la crescita cinese è vista con sospetto. Per altri — in Africa, America Latina, Medio Oriente — rappresenta un contrappeso al monopolio statunitense. In entrambi i casi, la presenza cinese obbliga il mondo a riconoscere che il secolo XXI non sarà unipolare.

Conclusione

Il Fujian non è soltanto una piattaforma di decollo: è la fotografia di un Paese che, in pochi decenni, è passato dalla periferia tecnologica alla frontiera dell’innovazione.

Dietro ogni lancio di jet, c’è una scelta politica: investire non in bolle speculative, non in austerità, ma in scienza, tecnologia ed esseri umani. È da qui che nasce la nuova centralità globale della Cina. Ed è qui che l’Europa dovrebbe imparare: senza ricerca e senza educazione, nessun continente può avere futuro.