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Esteri

Israele si va sempre più radicalizzando a destra : le origini e la crescita della destra sionista.

L’ideologo colui che ha sintetizzato sensazioni ed emozioni  presenti da sempre nel popolo ebraico come proiezione ad uno stato nazionale basato sulla razza ebraica e sul territorio che duemila anni fa era la patria dei semiti fu  Ze’ev Jabotinsky.

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Credit foto https://www.tio.ch/dal-mondo/cronaca/1739557/israele-hamas-gaza-capo-accordo-mossad

Di Fulvio Rapanà

Nell’articolo pubblicato su questo giornale l’11 Marzo https://ilsud-est.it/11-marzo-2024/2024/03/11/israele-si-va-sempre-piu-radicalizzando-politici-e-partiti-di-destra/   ho tratteggiato l’area politica in cui si muovono i partiti di destra e di estrema destra che attualmente sono al governo di Israele e i leader che la rappresentano. Per comprendere meglio da dove vengono questi partiti e dove vogliono andare è necessario fare un passo indietro più o meno di un secolo.

Intanto una premessa concettuale: pensare ad un ebraismo di destra, razzista, xenofobo e colonialista, dovrebbe far venire i brividi  ma non è così perché progressismo o conservatorismo, internazionalismo o nazionalismo, razzismo, xenofobia ecc.  sono presenti in tutte le razze e in tutte le organizzazioni umane, d’altronde anche se ammantata di laicismo e di idee  socialdemocratiche da Ben Gurion, Weizman e degli  fondatori dello Stato di Israele, il sionismo come movimento per una patria legata alla terra e alla razza è di per se un’idea di destra. L’ideologo colui che ha sintetizzato sensazioni ed emozioni  presenti da sempre nel popolo ebraico come proiezione ad uno stato nazionale basato sulla razza ebraica e sul territorio che duemila anni fa era la patria dei semiti fu  Ze’ev Jabotinsky.

Attivista, oratore, scrittore e poeta nato nel 1880 a Odessa, allora parte dell’impero russo, e formatosi all’Università La Sapienza di Roma. Fervido nazionalista, Jabotinsky credeva che soltanto una «muraglia di ferro di baionette ebraiche» avrebbe garantito lo Stato ebraico, ma allo stesso tempo era un liberal-democratico autoproclamato che scriveva frasi del tipo «dalle ricchezze della nostra terra prospereranno gli arabi, i cristiani e gli ebrei». Nei suoi testi rifiutava il fascismo e il culto della personalità, anche se durante i primi anni del movimento alcuni membri di quest’ultimo furono apertamente identificati come fascisti, e la sua leadership rimase di fatto indiscussa fino alla sua morte nel 1940. Un primo passo politicamente fondativo di questo movimento si ebbe nel 1948 con la creazione del partito Hirut, ad opera  di Menaghem Begin,  come “ala politica” delle formazioni paramilitari dell’Irgun, una milizia armata degli ebrei trasferitesi in Palestina che agì sotto il Mandato britannico, utilizzando anche il terrorismo come arma di pressione  politico/militare.

Uno degli attentati più spettacolari dell’Irgun avviene a Roma nel 1946, quando viene fatta saltare in aria Villa Torlonia sede dell’ambasciata Britannica. Begin era uno statista che aveva a cuore non la sua sorte politica ma  quella di Israele come nazione e pur avendo al proprio interno frange estremiste, lontane dalle politiche socialisteggianti dei laburisti, e caratterizzate per il sogno di uno Stato di Israele che si estenda dal mare alle due rive del Giordano,  starà sempre in pieno nel gioco politico parlamentare. Nel 1973 Begin, insieme ad altre formazioni nazionaliste, crea una cartello elettorale, il Likud, che diventerà partito solo nel 1988,  con il quale vince le elezioni nel 1977.         

                                                   Una seconda fase dell’evoluzione politica della destra si ebbe nel  1979 quando Begin firma il trattato di pace con Sadat e restituisce all’Egitto il Sinai. Ci fu una violenta contestazione a Begin all’interno del Likud, accusato di essere quasi un traditore per avere ceduto una parte della “Grande Israele”, che sfociò nella nascita del primo partito all’ estrema destra  del Likud, il Tehiya. In questo partito sono presenti i germi delle politiche apertamente manifestate di colonialismo, razzismo e xenofobia verso i palestinesi, e non solo, che ora stanno avvelenando il cervello e la vita di molti israeliani. Fino a quando il Likud era guidato da Begin,  Shamir o Sharon il partito rimase, contrario alla soluzione dei due stati, ma  ben ancorato ai valori istituzionali e fondativi dello stato.            

                           Il terzo è decisivo passaggio per una ulteriore svolta a destra si è avuta con il rientro di Netanyahu in patria dagli Usa, dove era stato ambasciatore, che nel 2006 divenne capo del Likud. Da quel momento il Likud, e soprattutto Netanyahu,  è sempre stato al governo come ago della bilancia politica dello stato   alleandosi camaleonticamente prima con i centristi (di destra) ora con le formazioni di estrema destra.                                    

     Chiaramente non sarebbe bastato l’equilibrismo politico di Netanyahu per restare al potere per tanti anni, anche altri elementi  hanno contribuito a questa evoluzione:

  • Il primo e il più ovvio: la fine di ogni prospettiva per il processo di pace. L’affossamento degli Accordi di Oslo, per mano della destra con l’assassinio di Rabin, e il termine della possibilità di una pace fra “due popoli e due stati”, ha lasciato senza più una prospettiva e una funzione “storica” il centrosinistra israeliano. Netanyahu ho convinto  che i palestinesi non hanno una leadership credibile e attrezzata per gestire uno stato confinante con Israele  per cui non c’era nulla da trattare, si doveva, e si deve, solo tenere sotto controllo i 5 milioni di palestinesi praticamente chiudendoli in una gabbia. Ovviamente con l’avallo incondizionato degli Usa che sono i veri colpevoli di questa situazione.
  • Il secondo elemento  è che l’emergere dell’estrema destra in Israele viene favorita da un  Likud che radicalizza sempre di più le sue posizioni. Questo è un processo che sta avvenendo in tutto il mondo: la scomparsa della destra moderata, e l’emergere di una destra più aggressiva, radicale, razzista che se non ribaltate si trasformano in democrazie illiberali.
  • L’attuale Israele è socialmente ed economicamente  molto diverso da quello della fondazione abitata soprattutto da sopravvissuti alla shoah e di ebrei sionisti provenienti dall’Europa. Israele ora è una nazione molto ricca fortemente influenzata dal mondo degli affari  di ebrei sionisti proveniente dagli Stati  Uniti, cresciuti in una società abituata all’uso delle armi e portatori di una visione messianica e millenaristica della  “Grande Israele”.

Cosa vuole l’estrema destra israeliana? 

  • Annettere definitivamente la Cisgiordania e Gaza, riducendo in uno stato di ulteriore minorità la popolazione palestinese, negando di fatto i diritti civili anche ai cittadini israeliani di origine araba. Da qui il sostegno ai coloni e alla loro visione millenarista della creazione di una Grande Israele, ma anche a chiunque agisca con i fatti (leggi la violenza) per questo obiettivo.
  • Togliere la cittadinanza agli israeliani di origine araba.
  • Portare avanti una politica culturale non dissimile da quella di altre forze di  destra: la difesa della famiglia tradizionale, l’ostilità ai diritti civili, l’odio per l’egualitarismo di stampo socialista, insofferenza verso lo stato di diritto, l’emancipazione femminile in rapporto con l’uguaglianza di genere.
  • Una “giudaizzazione” dello stato  profondamente in senso profondamente etnocentrico che comprenda una “pulizia” dell’appartenenza alla razza ebraica, e quindi alla cittadinanza israeliana,  da riconoscere solo ad ebrei per parte di madre e non per nonni o padri ecc. Un esempio è stato Roman Abramovič la cui ebraicità, certificata da un rabbino portoghese arrestato dopo qualche giorno, è stata molto contestata, dagli organi garanti dell’appartenenza ariana in Israele, proprio perché non è certo che la madre fosse di razza ebraica.
  • La realizzazione della “Grande Israele” che comprenderebbe Gaza, la Cisgiordania e  la porzione transgiordana di esso (odierno Regno di Giordania), ceduto alla dinastia Hashemita dal Segretario coloniale britannico Winston Churchill nel 1921. Per il movimento sionista, lo scopo non era solo un unico Stato ebraico, ma un unico Stato che unificasse ambedue le rive del Giordano. È la visione nazionalista e irredentista dell’ala “Revisionista”  del sionismo che ora prende sempre più forza.

Saranno solo qualche centinaia di migliaia di coloni a pensarla così? Purtroppo no. Per avere una idea aggiornata sulle tensioni della società israeliana  un sondaggio di metà gennaio, condotto dall’Università di Tel Aviv, il 57% degli  israeliani intervistati pensava che Israele stesse usando a Gaza “la giusta quantità di forza”, ma un altro 43% ha affermato che “non ne aveva usata abbastanza”. In un altro sondaggio condotto il 20 febbraio  dall’Israel Democracy Institute, la maggioranza degli  israeliani si  oppone a un accordo politico dettagliato per porre fine alla guerra, e due terzi si sono opposti agli aiuti umanitari a Gaza. Questi dati dovrebbero farci riflettere su chi stiamo appoggiando.

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