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22 Dicembre 2025

Cile: Kast vince al ballottaggio e il ritorno del pinochetismo come progetto politico

Dal primo turno al ballottaggio: la vittoria di Kast segna lo spostamento più netto a destra dal dopodittatura e riattiva l’ombra del pinochetismo.

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Di Marlene Madalena Pozzan Foschiera

Il Cile chiude il 2025 con una svolta politica pesante. Al primo turno delle presidenziali, la candidata progressista Jeannette Jara era arrivata davanti; ma al ballottaggio del 14 dicembre 2025 ha perso contro José Antonio Kast, che assumerà la presidenza nel marzo 2026. La destra ha vinto facendo leva su paure sociali — soprattutto sicurezza e migrazione — e il paese compie un salto a destra che avrà conseguenze ben oltre i suoi confini.

Vale ricordare cosa significa questa “ombra”. In Cile, il pinochetismo non è solo memoria storica: è un modello politico e sociale nato dalla dittatura di Augusto Pinochet (1973–1990), che combinò repressione e riduzione degli spazi democratici con un’impostazione economica neoliberista: privatizzazioni, indebolimento dei diritti sociali, attacco ai movimenti popolari. Quando l’ultradestra ripropone la promessa di “ordine” come panacea, riattiva un immaginario che, nel contesto cileno, ha un peso molto concreto.

Kast non è un conservatore “tradizionale”. La sua traiettoria politica include l’appoggio a Pinochet nel plebiscito del 1988 e una piattaforma che mescola mercato senza tutele, securitarismo e offensiva culturale su diritti. È qui che la vittoria non va letta come una semplice alternanza: cambia il baricentro del dibattito pubblico e rende “normali” scelte e linguaggi che fino a poco tempo fa sarebbero stati più difficili da sdoganare.

La sconfitta di Jara dice molto anche della strategia. Nel tentativo di rassicurare l’elettorato moderato e disinnescare l’anticomunismo mediatico, la campagna ha assunto una postura difensiva, spostando l’asse del discorso e smussando la propria identità politica. Ma in contesti polarizzati questo spesso produce l’effetto opposto: non conquista la destra (che non vota comunque una candidata comunista) e, allo stesso tempo, raffredda una parte della base militante — quella decisiva nei territori, nei quartieri, nella mobilitazione.

Kast, invece, ha trasformato la “sicurezza” nel grande frame politico del voto, con ricette semplici e punitive. Il rischio non riguarda solo l’economia (privatizzazioni e compressione dei diritti del lavoro), ma anche una pressione sui diritti civili, sulle politiche di genere e sul pluralismo, con una retorica che rende vulnerabili e minoranze bersagli utili.

È importante ricordare un punto: La Moneda, il palazzo presidenziale cileno, non è una pagina bianca. Il Congresso resta un terreno di disputa e i movimenti sociali cileni hanno una storia lunga di resistenza. Questo può frenare parte dell’agenda più radicale. Ma la direzione del nuovo ciclo è chiara: spostare il senso comune verso destra e provare a riscrivere i confini del “possibile”.

La lezione per il campo progressista è dura ma necessaria: senza organizzazione popolare, proposta concreta su lavoro e vita quotidiana, e senza contendere il tema della sicurezza con politiche pubbliche reali (e non con guerra sociale), la paura diventa la valuta politica più potente.