Sport
Carta Etica: Con la Carta il Comune si prende un impegno morale.
Anna Lattuca, ex giocatrice di Pallamano di Serie A1 ci parla della Carta Etica dello sport femminile.
DI FABRIZIO RESTA
Ph. di Anna Lattuca
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Anna Lattuca, ex giocatrice di Pallamano di Serie A1 ci parla della Carta Etica dello sport femminile.
Salve e grazie per aver accettato di essere intervistata. Cominciamo dalla Pallamano, che è il suo sport, ha vissuto in prima persona delle discriminazioni di genere?
Come giocatrice, per l’esattezza facevo il portiere, ho vinto due scudetti e due coppe Italia con la Libertas De Gasperi Enna. Per 15 anni la mia squadra è stata impegnata nelle varie competizioni europee. Poi purtroppo la squadra è stata sciolta per problemi economici. Si sa, gli sponsor non sono interessati alla pallamano perché viene considerato uno sport minore, anche se non ho ancora capito cosa vuol dire sport minore. In Europa la pallamano è uno degli sport più visti ed è il secondo sport di squadra praticato. In Germania è il primo sport visto in pay per view. Prima era più semplice perché in Sicilia la Regione finanziava tantissimo lo sport. Arrivava a coprire il 75% delle spese sostenute. Quando la Regione ha tagliato i fondi, persino la squadra che aveva vinto tutto in Italia non riusciva a trovare sponsor per coprire le spese. Così la società ha deciso di non investire più nel settore femminile, puntando su quello maschile. La motivazione ufficiale? Non c’era un vivaio femminile sufficiente. Se c’era una squadra che doveva ricevere i fondi per meriti sportivi eravamo sicuramente noi, ma evidentemente essere la squadra numero uno in Italia non bastava. Questa è una delle tante dimostrazioni che la disparità di genere nello sport c’è sempre stata e ci sarà sempre, finché non facciamo un cambio culturale. Ovviamente questo discorso non riguarda solo la Pallamano. Milena Bartolini, commissaria tecnica della nazionale femminile italiana di calcio, ha raccontato, proprio in occasione della presentazione della Carta, che quando allenava una squadra di serie A (il Foroni Verona, n.d.r.) il Comune assegnava loro l’utilizzo del campo alle 21:30. Per allenarsi le ragazze dovevano accendere i fari delle macchine.
Lei ha anche gestito una squadra di Pallamano successivamente…
Al termine della mia carriera sportiva ho tenuto ed allenato una società per dieci anni, insieme a Simona Cascio, una mia ex compagna, e a mio cugino Mario Feliciotto, altro ex giocatore di pallamano. Siamo partiti dalle giovanili ma poi siamo cresciute: successivamente abbiamo vinto il campionato di serie B e siamo andati in A2. La squadra era totalmente composta da giovanissime ragazze di Enna, dai 16 ai 23 anni (dimostrando che ad Enna un vivaio di ragazze c’era eccome ed era di grande valore), diventando campionesse regionali under 18 e arrivando alle finali nazionali. Una piccola realtà, a conduzione semi-familiare, che è riuscita ad ottenere dei grandi risultati senza poter disporre di uno sponsor. Purtroppo, sempre per questioni economiche, abbiamo dovuto sciogliere la squadra.
Le donne stanno facendo più sport rispetto al passato?
La pallamano femminile sta sparendo. Una volta si cominciava a giocare dalla serie D. Ora si comincia dalla A2, perché le squadre femminilI si sono sciolte. In Sicilia l’anno scorso c’era una sola squadra under 15 in tutta la Regione.
Lei ora è impegnata in prima persona con l’Assist, la promotrice della Carta Etica dello sport femminile. Di cosa si occupa più precisamente questa associazione?
Si. Quattro anni fa sono stata contattata da quello che attualmente è il Presidente Federale (Pasquale Loria, n.d.r.) e sono diventata consigliera federale della Figh (Federazione Italiana Gioco Handball), che è stata comunque una bella esperienza, nonostante gli alti e i bassi. Durante un seminario organizzato dal Coni sulla leadership della donna all’interno della dirigenza sportiva, ho incontrato la Presidente di Assist (Associazione Nazionale Atlete) Luisa Rizzitelli e da lì ho cominciato a seguire le iniziative dell’Associazione. Assist da vent’anni si occupa dei diritti delle donne all’interno del mondo sportivo. Assist è la principale sostenitrice della battaglia che ha poi portato all’istituzione del fondo maternità delle atlete. Quello che pochi sanno è che in Italia lo sport non è professionistico, a parte il calcio, il ciclismo, il golf, la boxe e il motociclismo, e comunque solo maschile. Lo sport femminile non è professionistico. Infatti, anche se ho giocato per vent’anni ad alti livelli, io non ho alcun contributo versato. Ultimamente come Assist stiamo appoggiando Lara Lugli, una pallavolista che due mesi fa ha denunciato la sua società che l’ha licenziata perché era incinta (nel suo contratto, infatti, c’era questa clausola assurda, assolutamente irregolare in qualunque ambito) e in più è stata citata per danni, in quanto la sua assenza aveva penalizzato la posizione in classifica della squadra, che aveva perso di conseguenza alcuni sponsor. La cosa più vergognosa è che, nonostante si sia creato un movimento di solidarietà enorme (la famosa campagna #ioloso, a cui hanno aderito tantissime atlete ed ex atlete, come Tania Di Maio e Josepha Idem, n.d.r.), il Coni e la Fipav (Federazione Italiana Pallavolo) non hanno preso ancora nessun provvedimento contro la squadra in questione. Una pessima figura anche in campo internazionale, dato che il caso di Lara è finito tra le pagine del N.Y. Times, Le parisienne e il Mundo deportivo. La disparità di genere la tocchi con mano anche da questo, ossia che le Federazioni fanno le orecchie da mercante.
Quanto è difficile per una ragazza fare sport in Italia e specialmente in un paese del Sud?
E’ difficilissimo, specie al Sud perché abbiamo una mentalità abbastanza chiusa. Già a scuola si fa l’errore di fare la distinzione tra sport maschili e sport femminili. Nello sport non sono possibili certe distinzioni. Se un bambino vuole fare danza, lo deve poter fare senza essere chiamato femminuccia. Se una bimba vuole giocare a calcio, lo deve poter fare senza essere chiamata maschiaccio. Poi il problema è anche l’organizzazione dell’attività sportiva perché ci siamo dimenticati di fare sport nelle scuole. Una delle più grandi pecche del Coni e della gestione Malagò è di non aver spinto abbastanza le Federazioni a lavorare nelle scuole. Alcuni progetti sono stati fatti ma non abbastanza. Bisogna investire molto di più sulle scuole. Io ho cominciato a giocare a pallamano a scuola. Oggigiorno i genitori, per far fare sport ai propri figli, devono pagare. Lo sport deve partire dalle scuole. Infine, specie al Sud (ma anche al Nord), c’è il problema dell’impiantistica. Nei Comuni e nelle scuole le palestre non ci sono o, se ci sono, sono fatiscenti. Aggiungici anche che i bambini non giocano più per strada, non si arrampicano più sugli alberi, non fanno più la campana, la corda ecc. Infatti i dati sull’obesità infantile sono spaventosi. Tutti questi fattori portano alla cosiddetta desertificazione della partecipazione allo sport, sia maschile che femminile.
È a questo che serve la Carta Etica?
Si. È in quest’ottica che si pone la Carta Etica dello sport femminile, che Assist ha proposto, in collaborazione con il Comune di Bologna, che dà degli strumenti pratici alle istituzioni. Un punto importante della Carta Etica è che il Comune che la fa propria si assume la responsabilità di non dare patrocini o sponsorizzazioni alle Federazioni, enti (pubblici o privati) che vogliono organizzare manifestazioni sportive, al cui interno ci siano delle discriminazioni. Oppure ancora la Carta assegna delle premialità a tutte quelle realtà sportive che favoriscono l’attività femminile, prevedendo nei casi di assegnazione degli impianti sportivi dei punteggi in più. Chiaramente la Carta è studiata in base alla realtà di Bologna, poi ogni Comune l’adatta in modo da rispondere maggiormente alle proprie esigenze.
Ci sono degli oneri per i Comuni che decidono di intraprendere questo percorso?
Il Comune non ha nessun onere a livello economico, nessun impegno di spesa. Con la Carta il Comune si prende un impegno morale. Se un Comune ha paura di adottare un regolamento come questo è un Comune che si preclude la possibilità di crescere. L’unico vero onere che il Comune si assume è di promuovere iniziative contro la discriminazione di genere, contro gli abusi e contro le violenze di genere.
Sandro Pertini diceva:
” i nostri ragazzi per crescere bene, hanno semplicemente bisogno di esempi”
La Carta Etica è un esempio.