Società
Maggioranze e minoranze
In cosa consistono i concetti di maggioranza e minoranza e come si formano? Sono il frutto, il risultato dei rapporti di forza tra gli uomini, anche se per forza non possiamo intendere solo la volontaria potenza di autoaffermazione dell’individuo.
Leggere, saper interpretare la storia, che è poi saper interpretare l’agire dell’uomo è cosa tutt’altro che semplice e l’ambizione di farlo scevri da condizionamenti è un’ambizione destinata ad essere sempre frustrata, non essendovi nulla nella nostra esperienza di individui, che sia libera nel senso assoluto del termine. Personalmente non me ne lamento, ma mi meraviglia che ancora si auspichi la formazione e l’espressione di un pensiero che consapevolmente o meno, per scelta o meno prescinda da assiomi di riferimento e che a farlo siano spesso proprio gli intellettuali. So bene ovviamente che anche quanto ho appena espresso è frutto di una scelta e dell’adesione ad un sistema di riferimento che a chi mi legge non sarà difficile certo individuare e proprio partendo da questo sistema, a cui ho aderito negli anni della mia formazione più volte ho riflettuto sul significato di maggioranza e di minoranza, giungendo a conclusioni negli anni diverse.
Ma in cosa consistono i concetti di maggioranza e minoranza e come si formano? Sono il frutto, il risultato dei rapporti di forza tra gli uomini, anche se per forza non possiamo intendere solo la volontaria potenza di autoaffermazione dell’individuo, ma un insieme di elementi che intervengono a fare in modo che per taluni sia più facile imporsi sugli altri, elementi che spesso sono esterni all’uomo ed insondabili. I greci li ricomprendevano tutti nel concetto di tiche. Che sia la tiche o la forza individuale o entrambi a decretarlo esistono appunto una maggioranza ed una minoranza. Quest’ultima è per sua natura destinata a non vedersi rappresentata, ad essere emarginata, ad adeguarsi a regole che non ha scelto, a fare spesso esperienza della sconfitta. Maggioranza e minoranza parlano lingue diverse ed esprimono cose diverse e sono per questo destinate a non capirsi mai.
La condizione di sudditanza inevitabile che la minoranza vive potrebbe però indurre nell’errore grossolano di considerare la minoranza moralmente migliore della maggioranza, di pensarla ciò vittima virtuosa nel gioco continuo delle parti che è la vita sociale. Sarebbe bello immaginare che nel genere umano vi siano, individui migliori di altri ma purtroppo le cose non mi pare stiano così: una certa condizione può indurre ad operare in modo diverso, che in un certo contesto può apparire migliore, ma a mio parere questo dipende appunto dalle condizioni in cui ci si trova a decidere ed agire. Molti anni fa, per un’associazione culturale della mia città tenni qualche lezione sulla storia della musica jazz, genere legato a filo doppio agli africani d’America. Durante uno di questi incontri, notai che quanti mi ascoltavano avevano dei jazzisti di colore l’idea di individui dalle doti umane ed artistiche superiori a quelle dei bianchi, decisi così di chiarire quale fosse la mia idea in proposito e cioè che senza dubbio il jazz è per la maggior parte frutto della cultura afroamericana, ma anche della minoranza ebraica e di quella italiana negli Stati Uniti. Considerare questo fatto traendone però considerazioni di ordine morale ritenevo e ritengo fosse sbagliato. Notai nello sguardo di qualcuno dei presenti una certa contrarietà e questo mi indusse a chiarire ulteriormente la questione. Aggiunsi che, negli anni in cui prima il blues e poi il jazz si venivano formando, ai neri era fatto divieto di partecipare alla vita civile, erano emarginati, sfruttati, convinti dalla maggioranza bianca che fosse il colore della loro pelle a destinarli ad una vita di fatto da schiavi, perché per loro natura peggiori in tutto rispetto ai bianchi. Questo tipo di indottrinamento era funzionale ovviamente alla conservazione del potere da parte dei bianchi e come era giusto e prevedibile arrivò il momento in cui i neri, attraverso rappresentanti come Martin Luther King e Malcolm X, riuscirono ad opporre la propria idea, i propri diritti alle concessioni miserevoli offerte dai bianchi e tutto questo dopo innumerevoli battaglie e la morte sul campo dei due stessi leaders citati. Quindi in questo caso la storia ci parla di uno scontro tra due parti, una delle quali ha tutte le ragioni, oserei dire sante ragioni, per ribellarsi al proprio sfruttamento da parte dell’altra. Mi spinsi in quella lezione a dire che mutatis mutandis se gli uomini di colore fossero stati la maggioranza avrebbero molto probabilmente agito allo stesso modo dei bianchi ed il loro (quello dei ragazzi presenti) considerarli moralmente migliori era frutto di un pregiudizio tanto quanto quello dei bianchi il considerarli la feccia della società americana. Devo dire che non mi parve in quell’occasione che al termine dell’incontro i giovani presenti fossero tornati a casa soddisfatti, anzi sono certa che, se ve ne fosse stato il tempo avrebbero opposto alla mia tesi le loro, il cui tenore mi pareva però già di intuire. Ma a prescindere dall’episodio in questione e guardando ad esempio proprio allo scontro tra la comunità bianca e quella nera nell’America degli anni sessanta e settanta cosa si può dire, cosa si potrà leggere nei libri di storia fra dieci, cento anni? Che vi fu uno scontro necessario affinché i neri vedessero finalmente riconosciuti i propri diritti di uomini, uno scontro che vide attori una maggioranza ed una minoranza e che la società americana di quegli anni era composta da queste parti. Chiarito ciò io credo che nella valutazione dei fatti storici si debba guardare all’insieme delle parti in causa, alle dinamiche in cui si esprimono, alle risposte che danno alle istanze altrui e che solo queste risposte possano valutarsi come moralmente degne di essere difese e non coloro che le esprimono, anche se i nostri sono tempi nei quali si assiste ad una involuzione, ad un ritorno al principio esattamente contrario che vedrebbe taluni sempre colpevoli ed altri sempre innocenti in virtù di un pregiudizio che non guarda alle loro azioni ma a chi essi sono e rappresentano.
Rosamaria Fumarola.
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