Società
Che nessuno filmi la mia morte!
Tutte le volte in cui difendiamo dei diritti ritenendoli assolutamente validi, il rischio di lesione della tutela altrui diventa alto
di Rosamaria Fumarola
Il tempo fa la differenza, impone le sue leggi e ciò che soltanto quattro giorni fa ci sembrava osceno, oggi è cosa passata. Nella valutazione sulla questione se fosse o meno opportuno mandare in onda, sulle reti nazionali il video relativo alla tragedia del Mottarone, dovremmo tener conto anche di questo dato, che si viene ad aggiungere al resto di una vicenda già complessa da valutare. Abbiamo ascoltato giornalisti autorevoli difendere convintamente ed a più riprese il diritto all’informazione, secondo il principio che il cittadino sempre e comunque “debba sapere”. Su cosa poi sia questo sapere indispensabile alla vita degli italiani nessuno osa mai esprimersi con precisione e compiutezza. Pare doveroso infatti diffondere immagini che riguardino direttamente la vita di sfortunate vittime di circostanze avverse, impossibilitate ormai a difendere il diritto alla propria privacy, perché esiste un pubblico pronto a trarne sicuro beneficio ed in fondo le ragioni sarebbero anche comprensibili, ma viene il sospetto che quest’idea, seppur in linea di principio fondata, una volta esasperata nell’applicazione pratica, come ogni cosa rischi di perdere la sua giustezza. Tutte le volte infatti in cui difendiamo dei diritti ritenendoli assolutamente validi, non contemperandoli cioè con le realtà in cui devono essere esercitati, il rischio di lesione della sfera della tutela altrui diventa alto e l’ottimo finisce con l’essere nemico del buono. Nel farlo notare si rischia però di passare per moralisti. A parte la non trascurabile questione che porsi un interrogativo morale dovrebbe essere una consuetudine virtuosa con cui riacquistare familiarità, mi domando se sia io a soffrire di qualche rara sindrome che mi fa reagire con orrore alla vista della morte filmata di miei simili, inconsapevoli tanto di essere ripresi quanto di andare incontro alla morte. È infondo la medesima reazione che mi prende di fronte a qualunque visione del rapporto di ciascuno di noi con la propria fine e questo per la ragione più semplice del mondo: pudore per la fragilità umana. È un portato della tradizione cristiana? Il risultato di ataviche lotte per i diritti umani? Entrambi e molto altro, ma di certo non l’istinto che da sempre fa sì che di fronte alla debolezza altrui l’animale infierisca, cosa che in natura ha pure le sue ragioni, ma che in un organizzazione sociale con proprie regole anche morali, non può trovare posto, neanche in nome del diritto sacrosanto all’informazione.
In versi celeberrimi il poeta Charles Baudelaire scriveva che quando anche il nostro migliore amico ci fa visita mentre siamo sul punto di morire, ad animarlo è in estrema ratio il sollievo che a lasciare la vita non sia lui. Scandalizzarsene (questo sì!) sarebbe da moralisti che non trovano il coraggio di guardare in faccia la verità della miseria di ciò che siamo. Alla morte altrui osservata per provare un brivido o peggio per provocarlo al pubblico, preferisco la finzione di un film horror; “cui prodest?” infatti questo guardare dal buco della serratura la morte, che si è sostituito alla visione del sesso, ormai inflazionata da internet? È infondo il medesimo spettacolo dei giochi che si tenevano in luoghi quali il Colosseo e che oggi non facciamo alcuna difficoltà a giudicare come atrocità di un passato ormai lontano. È pornografia utile solo a chi decida di servirsene per questioni di audience. Non vi può essere altra ragione a sostegno della decisione di mandare in onda la morte filmata di individui impossibilitati ad esercitare una propria difesa.
Quando, come per la tragica vicenda del Mottarone, esistano immagini che ne diano testimonianza, conviene che vengano utilizzate per un unico fine: l’accertamento della responsabilità dei fatti, il solo scopo ad essere di una qualche utilità per restituire dignità a chi, nel momento più difficile la dignità di scegliere non la ha potuta avere.