Politica
Sì allo “ius scholae”, no allo “ius stupidis”
di Alessandro Andrea Argeri
Negli ultimi giorni si è tornato a parlare di “Ius Scholae”, il testo di riforma grazie al quale si potrebbe acquisire la cittadinanza italiana al compimento di un ciclo di studi. Innanzitutto, è impossibile negare come in Italia non ci sia mai stata una riforma della legge sulla cittadinanza capace di rimanere al passo con i tempi; se così non fosse, il tema non tornerebbe con una certa frequenza.
Di sicuro oggi bisogna tenere conto degli immigrati di “seconda” o addirittura “terza” generazione, cioè quelli risiedenti in Italia ma figli o nipoti di immigrati, per questo considerati non italiani, sebbene non appartengano nemmeno all’etnia dei loro genitori. Anche per questo, come sostiene SaveTheChildren, “riconoscere la cittadinanza italiana ai minori che nascono e crescono nel nostro Paese rappresenta un’opportunità di uguaglianza, concedendo pari diritti a tutti quegli italiani di fatto, ma non per la legge”.
Allora mettiamo da parte dichiarazioni ignobili come “la cittadinanza italiana non si svende come se si fosse al mercato: se uno nasce in una scuderia, non è mica per forza un cavallo”, o motivazioni fasulle per giustificare una riforma già valida di per sé. Ad esempio, una delle più grandi stupidaggini lette in questi giorni sostiene la necessità dello ius scholae per contrastare “l’inverno demografico”, quindi, anziché domandarsi perché sempre meno italiani mettano su famiglia, si dovrebbe in qualche modo rimpiazzare i bambini mancanti.
Se da un lato non siamo più nell’antica Roma, o nella Germania nazista, quando persino i diritti umani fondamentali potevano essere negati se non si godeva dello “ius sanguinis”, una simile giustificazione darebbe il fianco ai peggiori xenofobi, primi fra tutti i sostenitori della teoria della “sostituzione etnica”, secondo i quali sarebbe in atto un complotto mondiale per rimpiazzare l’etnia originaria di un Paese sovrano con quella di un altro, un’aberrazione a cui possono credere solo i generali repressi, i cognati d’Italia, i loro sostenitori, chi nel 2009 credeva allo “gnomo armato d’ascia” di Mistero, insomma i detentori dello “ius stupidis”.
La verità è invece un’altra: se sei nato in Italia o ci vivi da tanto tempo, parli la lingua italiana, hai usi, costumi, modi fare italiani, allora possiedi cultura italiana, quindi sei a tutti gli effetti italiano. Questo processo di assimilazione si chiama “integrazione nella tradizione culturale di un popolo”. Non si tratta di svendere la cittadinanza, bensì di riconoscere i nuovi problemi del presente: la Nazione non si basa più sul concetto di sangue, anzi forse in un mondo interamente globalizzato non c’è nemmeno più spazio per tali astrazioni mentali. Piuttosto, mentre diamo la cittadinanza a chi se l’è sudata dopo aver terminato il ciclo di studi, togliamola a chi non va a votare.
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