Politica
Il grande remake della politica (un altro)
Le elezioni non sono ancora terminate, eppure il morale degli elettori in questo magico fantasy tutto italiano può essere descritto con la celebre scena di “Malcolm in the Middle”.
– Ti stai godendo questo giorno speciale?
– Non mi aspetto niente, ma sono già deluso.
– Sì, hai ragione.
di Alessandro Andrea Argeri
Nel mondo dello spettacolo si parla di remake quando viene realizzata una nuova versione o rifacimento di un vecchio film, spettacolo teatrale oppure di un libro di successo. Ebbene in questa magica campagna elettorale, in cui sembrano divertirsi tutti eccetto i cittadini, assistiamo al grande remake della politica italiana, sebbene quest’ultima negli ultimi anni non abbia riscosso molto seguito nonostante le performance da Oscar siano state numerose.
Nel 2001 mio nonno ha visto il patto di Berlusconi con gli italiani nel salotto di Bruno Vespa. Ventuno anni dopo io assisto alle stesse proposte, ma su tick-tock. Certamente un video non basta per indurre un elettore a votare in quel determinato modo, eppure sono convinto dell’intenzione di molti diciottenni di sostenere Berlusconi per il solo merito di essere diventato una macchietta dei social. Gli altri “giovani” si divideranno nei vari estremismi, anche se vorranno essere chiamati “moderati”. Ovviamente il ragionamento vale per chi andrà a votare.
La vittoria del centrodestra potrebbe diventare un trionfo, tuttavia sarebbe disonesto parlare di allarme democratico, poiché proprio in virtù della democrazia comanda chi viene votato. Inoltre tutti gli altri partiti avrebbero già formato un comitato di liberazione nazionale qualora la marcia su Roma fosse stata alle porte. Semplicemente non c’è nulla di nuovo in Giorgia Meloni, né alle sue spalle. La sua classe dirigente è la stessa di vent’anni fa. Dell’antico governo Berlusconi sono infatti riproposti: Berlusconi, Bossi, La Russa, Tremonti, Casellati, Gasparri, Schifani, Fitto, Pero, Crosetto, Urso, Miccichè, Santanchè, Roccella, Lupi, Binetti.
Eccezioni ci sono. Gelmini e Carfagna sono diventate grandi statiste incriticabili da quando sono passate ad Azione, mentre Casini, Lorenzin, Bonino sono nel PD. Dunque in autunno torneranno sia l’austerity del 1973 sia il governo Berlusconi I del 1994. Il prossimo passo quale sarà? Il ritorno di Andreotti? Un revival di Berlinguer? Una lotta per il potere sulle orme de “Il Trono di Spade”? La lotta tra Jedi con le spade laser? A chi andrà il ruolo di Dart Fener?
Insomma, le stesse facce di 20 anni fa promettono esattamente le stesse cose con gli stessi slogan: ponte sullo stretto, blocco navale, flat tax. Nessuno si domanda però come mai non le abbiano mai realizzate, né perché non ci siano idee concrete sulla risoluzione della guerra, sulla scuola, sulla sanità. Chi vorrebbe essere l’alternativa passa piuttosto il tempo a litigare. Eppure al posto di irrealizzabili piani per il futuro, o paure del passato, sarebbe auspicabile avere certezze per il presente. I temi ci sarebbero pure: i diritti dei lavoratori, le bollette, le delocalizzazioni, la scuola ripartita senza docenti, la sanità priva di medici. Perché allora continuare a parlare di Orban, di Mussolini, di diritti astratti, di argomenti dei quali a nessuno interessa?
Eppure il PD potrebbe risparmiare un sacco di soldi in propaganda. Basterebbe riproporre i vecchi video del 2011 quando Berlusconi salì al Quirinale per dimettersi dopo aver trascinato l’Italia alla bancarotta finanziaria, etica, politica. Ad accoglierlo migliaia di persone festanti, persino un’orchestra. Quasi quasi, lo facciamo noi. Buona visione!
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